Geopolitica

Causeries. Guerre e fattore umano nell’era degli avatar

di Stefano Mannoni |

Un soldato seduto in poltrona a migliaia di chilometri di distanza può davvero decidere dell’esito della guerra manovrando un drone con il suo joystick?

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Credo che nessuno abbia mancato il film Lawrence d’Arabia, uno di quei successi di Hollywood che hanno plasmato più di una generazione.

Ricordate gli arabi che si battono coraggiosamente con gli inglesi contro i soldati turchi?

E chi può dimenticarlo.

Ebbene un recente libro britannico (Ian Rutledge, Enemy on the Euphrates, Saqi, 2014) parla proprio di questo.

Cambia solo un unico dettaglio: la guerra c’è stata – eccome- ma tra gli arabi e gli inglesi!

Dal 1920 al 1921, una volta constata la mendacia della promessa di autodeterminazione profferita nel 1917 per l’odierno Iraq, centinaia di migliaia di membri delle tribù hanno scatenato una guerra senza quartiere contro i britannici, arrivando persino a fare a pezzi un’intera colonna (denominata “Manchester”), con tanto di fanteria, artiglieria, mitragliatrici e annessi e connessi.

Vi domanderete: e cosa ce ne importa?

Ammetto di averla presa un po’ alla lontana, ma avendo dedicato molto spazio in altre pagine di questa rubrica alla guerra dei droni telecomandati e alle conseguenze che tale svolta potrebbe determinare, sorge spontaneo l’interrogativo: ma davvero si può eliminare il fattore umano?

Un soldato seduto in poltrona a migliaia di chilometri di distanza, masticando un hamburger può davvero decidere dell’esito della guerra manovrando il suo joystick?

Non credo che chiederselo sia futile, perché se si guarda a questa remota vicenda del 1920 si ritrovano ingredienti a noi purtroppo assai familiari:

  1. totale incomprensione di tradizioni, antropologia, equilibri tribali;
  2. sistematica sottovalutazione dell’avversario;
  3. disorganizzazione tattica e logistica e molto altro ancora di cui negli attuali conflitti mediorientali l’Occidente replica un copione già visto.

Una volta assodato che droni e guerra a distanza rappresentano il nuovo scenario, viene allora umilmente da chiedersi se ciò che non è riuscito all’esercito britannico all’apice della sua esperienza coloniale, possa essere alla portata di soldati incollati davanti ai monitor.

Se è comprensibile la riluttanza di avvalersi di strumenti tradizionali come l’invio di truppe di terra, d’altra parte qualcuno dovrebbe prendersi la briga di spiegare come si intende fare fronte a un caos geopolitico che non data certo dalla nascita dall’Isis ma, ahimè, da quel centenario della Prima Guerra mondiale che sfortunatamente non è un capitolo chiuso in qualche parte del mondo.

Ma che risuona tutti i giorni come concreta e critica cronaca attuale.

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