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Causeries. Frequenze e Tv: qualche dubbio dopo l’intervista ad Antonio Sassano

Tv

Se vi è qualcosa che non può essere rimproverato al Prof. Antonio Sassano è la mancanza di coerenza e di rigore.

L’intervista rilasciata a Key4biz sulla scottante vicenda delle frequenze ne è la riprova.

Occorre – dice in sostanza il Prof. Antonio Sassano – armonizzare la transizione di tutti i Paesi al 5G senza procedere in ordine sparso.

Le ragioni sono due.

La prima è tecnica ed è rappresentata dalle interferenze: televisione e 5G sono destinati a entrare in collisione fra loro con buona pace dei confini.

La seconda è sistemica: l’Europa continentale detiene la massa critica per ottimizzare la nuova tecnologia, non i singoli paesi a macchia di leopardo.

Alla luce di queste premesse, la querelle sulle date nemmeno si pone: the sooner, the better.

Diciamo subito che, come sempre, gli argomenti del Prof. Sassano hanno un alto valore persuasivo, tanto più che provengono non da un accademico padrone della sola teoria, ma anche da un vero e proprio sherpa delle frequenze, come può testimoniare lo scrivente.

Sua è stata l’idea nel 2006 del canale mono frequenza e suo l’impegno, insieme a pochi altri, di scrivere un piano delle frequenze che fosse se non il migliore possibile, il meno peggio alla luce delle circostanze.

Nel leggere la sua intervista mi sono affiorati però un paio di dubbi che rispettosamente sottopongo alla sua attenzione.

Per cominciare, in Europa esiste una forte discrasia giuridica tra frequenze e audiovisivo.

Mentre le prime si avviano verso un’armonizzazione comunitaria in ragione della loro qualità di input essenziali per lo svolgimento di molte attività di impresa (dalla telefonia in giù), l’audiovisivo è dominio riservato dei singoli Stati.

Non solo l’armonizzazione latita, se non sotto forma della blanda Direttiva sui contenuti media che esclude cultura, pluralismo e intrattenimento (poche regole destinate a favorire la circolazione di beni e servizi all’interno del mercato unico); ma essa non è nemmeno prevista in programma.

Manca nel menu o, a detta di alcuni, è in fondo alla lista delle portate.

Mai come ora gli Stati sono abbarbicati ai propri broadcasters con finalità più o meno nobili, e il pluralismo non attraversa una fase particolarmente florida.

Il secondo dubbio scaturisce proprio dal paragone con la Francia, che da anni ormai ha interiorizzato e metabolizzato la televisione online.

Antropologia individualista, cultura, sviluppo della tecnologia, sono tre dei fattori che spiegano come mai in Francia la televisione free to air e quella pubblica abbiano un impatto assai minore che in Italia.

Lontani sono i tempi di Apostrophe di Bernard Pivot, quando l’intellighenzia sfilava sullo schermo per presentare libri e ingaggiare impegnativi dibattiti.

Oggi si può dire senza mezzi termini che la televisione classica in Francia è relegata a un ruolo di secondo piano e l’americanizzazione della fruizione del prodotto audiovisivo compie progressi costanti, complice la buona resa della banda larga e la familiarità dei francesi, già dai tempi del Minitel, con le sfide tecnologiche.

Tutt’altro lo scenario in Italia, dove la televisione fa da assistente sociale per gli anziani, produce un minimo di coesione sociale e fornisce un intrattenimento comunitario a milioni di persone.

Quindi, verrebbe da dire che se l’Italia sulla partita delle frequenze non deve condizionare gli altri assumendo posizioni oltranziste, è pur vero che non dovrebbe essere nemmeno destinata a subire i condizionamenti altrui.

Nessuno come il Prof. Sassano conosce meglio il lato della luna chiamato frequenze.

Vorremmo però che desse uno sguardo al più umile e meno avvincente volto del satellite che si chiama televisione.

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