Si dice che un pontefice del Rinascimento, pressato dai cardinali a prendere una decisione delicata, abbia replicato: “sarà l’affare del papa che viene!”.
Il principio di procrastinazione sembra guidare anche la proposta di nuovo Digital Single Market presentata dalla Commissione. La quale raccoglie meritoriamente tutte le best practices presenti sul campo, coniugandole però al futuro.
In altre parole l’implementazione è rinviata alla triangolazione tra la Commissione, il Berec e le autorità nazionali. Se sul piano della completezza non c’è veramente niente da ridire – è un catalogo da cui non manca proprio nulla -, su quello della certezza giuridica per le imprese si addensano nubi all’orizzonte.
Mentre infatti il vecchio quadro regolatorio ruotava intorno al principio della tipicità, salvaguardando così i destinatari delle misure, il nuovo abbraccia l’atipicità, lasciando agli attori istituzionali il compito di declinarlo.
Ne saranno capaci?
La sfida è davvero imponente perché schiudendosi al virtuale e alla rete il quadro giuridico perde in nitidezza quello che guadagna in inclusione. In poche parole: manca un’idea-forza e tutto è rinviato alla prassi che scaturirà una volta adottata la legge.
E’ un bene o un male?
Francamente non mi pare che dalla attuale Commissione ci si potesse aspettare di più. L’Europa non attraversa una congiuntura propizia per le grandi decisioni.
C’è poi il round con il Parlamento e Il Consiglio.
Insomma, penso che ne vedremo delle belle.
Nel frattempo va però aggiunto che le imprese dalla loro non si distinguono per eccellenza di visione. E di questa carenza la proposta sicuramente risente.
A ognuno il suo.