Sarà un caso, ma il divide regolatorio tra le due sponde dell’Atlantico si sta progressivamente accentuando. A testimoniarlo giungono due episodi che sono degni di nota, per chi osserva le dinamiche delle istituzioni e gli umori dell’opinione bene informata e influente.
Il primo è l’annuncio della imminente approvazione da parte della Federal Communication Commission della fusione tra Charter, Time Warner Cable e Bright House Networks, operazione destinata a costituire un imponente polo nella televisione via cavo, in grado di rivaleggiare con Comcast e con gli operatori Tlc.
La fusione è subordinata a tre impegni validi sette anni:
- la rinuncia a imporre tetti alla capacità di banda per i consumatori, che verranno così protetti da salati aumenti del conto per la fruizione dei contenuti video;
- il divieto di imporre tariffe di interconnessione ai fornitori di contenuti video;
- la proibizione di condizioni discriminatorie nei confronti degli Over-the-Top.
Perché questa decisione?
I partigiani europei di una spinta continentale al consolidamento industriale vi vedranno i segni di una consapevolezza che manca ai regolatori europei, ancora inginocchiati di fronte all’altare della concorrenza a tutti i costi.
Ma sarebbe una interpretazione sbagliata.
Se è certo vero che l’approccio americano è decisamente più flessibile di quello europeo (si ricordi però la bocciatura della scalata di Comcast a Time Warner l’anno scorso), in questo caso – per quanto paradossale possa sembrare – la spinta verso l’oligopolio serve proprio le ragioni della concorrenza.
Come spiega il presidente della FCC Thomas Wheeler, grazie a questa concentrazione due milioni di abitazioni potranno accedere alla banda ultralarga e un milione di queste connessioni sarà in concorrenza con almeno un altro fornitore di banda larga.
Vivaddio! In USA si concentra per iniettare un po’ di competizione a beneficio degli utenti.
Non mi sembra un grande esempio da seguire per un’Europa dove l’utente gode di una scelta decisamente più ampia di quella americana.
Il secondo episodio è l’attacco a testa bassa del New York Times contro la decisione della Commissione europea di procedere contro Google per gli abusi legati alla supposta dominanza di Android.
L’Unione Europea, questa è in sintesi l’accusa, è rimasta ferma al caso Microsoft, allorquando il mondo è da allora radicalmente cambiato all’insegna di una esplosione del download di applicazioni alternative. Commenta sarcasticamente il NYT: “Se lo scopo di Google era quello di precludere le applicazioni alternative, ebbene allora ha fatto davvero un cattivo lavoro!”
La meteorica ascesa di Facebook, l’arcinemico di Google – così lo definisce il commento – è l’attestazione più evidente dell’assenza di dominanza.
Del resto la familiarità degli utenti con il download di ogni tipo di applicazione, renderebbe ben fragile qualsiasi barriera Google volesse imporre sui portatili, che sono un terreno di lotta ben più accanito di quanto lo fosse il desktop egemonizzato da Microsoft.
Che dire?
L’indagine che la Federal Trade Commission si accinge ad aprire su Google comincia sotto cattivi auspici mentre quella della Commissione europea non si annuncia una gita di piacere – né tecnicamente, né politicamente.
Preso atto di quanto distanti siano Washington e Bruxelles, resta il fatto che la Commissione dovrà pure decidersi a scoprire le carte sul Digital Single Market che si trascina ormai da troppo tempo.
Nel gioco di scacchi transatlantico, gli americani stanno facendo le loro mosse.
Ora è il turno degli europei.