#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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La rete di Telecom Italia esercita un’attrazione fatale che ottunde le menti. Lo si è visto sabato e lo abbiamo constatato anche negli anni scorsi quando si affastellavano i progetti più improbabili di intervento su un patrimonio che presenta due caratteristiche fondamentali: è privato e quindi al riparo da manipolazioni politiche stile IRI postmoderna; ed appartiene a una società quotata in borsa, ed è pertanto protetto da regole ben precise circa la salvaguardia degli azionisti. Quindi in sintesi non può essere oggetto di alcun tipo di intervento governativo se non sotto la forma: “non ti do i finanziamenti se non accedi a una certa visione”.
Ma anche in questa ipotesi, però, bisogna fare attenzione. Il governo non potrebbe ignorare la circostanza che il principio comunitario di neutralità tecnologica scoraggia l’imposizione di una certa tecnologia a scapito di altre. A ragion veduta del resto, posto che ciò che appare impossibile oggi potrebbe agevolmente divenirlo domani.
Chi può dire se l’impetuoso mutamento tecnologico non consentirà di valorizzare il rame in una forma ben più incisiva di quanto oggi si possa solo immaginare? Qualche indizio in tal senso c’è già, poiché banda larga e fibra non sono necessariamente sinonimi.
Inoltre un governo responsabile dovrebbe muoversi con una certa prudenza su un’azienda che impiega 60.000 dipendenti di cui un buon numero vive con precari contratti di solidarietà. Non voglio immaginare nemmeno un istante cosa potrebbe succedere se, all’indomani di una repentina conversione alle nuove tecnologie, l’azienda scoprisse di non avere bisogno di un terzo o più dei suoi dipendenti. Cosa farebbe il governo? Sussidierebbe i dipendenti in eccesso? E’ sconsigliabile giocare col fuoco di questi tempi.
Infine, occorre una cautela che sembra ignota ai registi di queste operazioni. Esiste una copiosa letteratura scientifica che spiega come il successo della banda larga dipenda da molte variabili, senza autorizzare riduzionismi deterministici, del tipo: “100 mega a tutti, così l’economia digitale decolla”.
La variabile anagrafica e culturale è molto importante per il successo di questi disegni. Una popolazione di età medio-alta con scarsa alfabetizzazione informatica e poca propensione a farsela, non approfitterebbe granché di una disponibilità di banda molto generosa. Pertanto questo feticismo della fibra appare un pochino sospetto: o le cose non si sanno; o se si sanno, si preferisce andare avanti lo stesso. Perché?
Da ultimo ci sarebbe anche un’autorità di regolazione di settore chiamata AGCOM di cui sarebbe utile, in questo frangente che riguarda la partita più grossa tra le sue competenze, conoscere l’opinione.