#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
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Il colpo di teatro è una tentazione cui il genio italiano raramente resiste e quando ne riconosciamo i segni dobbiamo essere indulgenti poiché fa parte della nostra identità.
Sarebbe come fustigare una parte di noi!
Non vi è pertanto motivo di scandalizzarsi se nel bel mezzo di un dibattito nevralgico per la sorte delle telecomunicazioni e internet in Europa la commissione parlamentare nominata dalla presidente della Camera Laura Boldrini non abbia saputo fare niente di meglio che mettere insieme il repertorio delle più trite banalità in circolazione.
Non manca davvero nulla all’appello dei luoghi comuni sulla rete: l’accesso ad internet a tutti e alle condizioni della migliore qualità; la neutralità della rete come assioma assoluto; la tutela dei dati personali concepita all’insegna di un incondizionato diritto all’autodeterminazione informativa, il principio di sussidiarietà nel governo di internet etc. etc. etc.
In questo tatzebao ritroviamo da cima a fondo una stentorea quanto intransigente rivendicazione di diritti che solleticherà per qualche tempo la vanità degli autori, senza esercitare la minima incidenza sulla riforma “single market” in Europa, la quale si svolge all’insegna della tecnica e non della retorica.
Da Stefano Rodotà, studioso non banale della materia, ci saremmo aspettati qualcosa di più di una dichiarazione dei diritti à la Saint Just.
Soprattutto nel giorno del Nobel a Jean Tirole, che nel 1999 ha contribuito come pochi a creare un contesto concorrenziale e propulsivo per le telecomunicazioni: concependo un sofisticato apparato concettuale; non prendendo la scorciatoia di una generica crociata contro i monopoli.
Sarebbe stato più giudizioso seguire la strada del Consiglio di Stato francese che ha ritenuto di non potersela cavare con una Dichiarazione dei diritti, ma ha affidato a 500 pagine di corposo rapporto, tecnico e argomentato, il suo contributo al tema.
Ed è vieppiù singolare l’acquiescenza delle imprese che, più di politici e accademici, dovrebbero essere vagamente consapevoli della posta in gioco e della necessità di affrontarla con gli strumenti della tecnica.
Conclusione?
Un’altra occasione mancata, tra le tante che costellano la storia di questo paese.