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Causeries. Brexit: e se la Gran Bretagna ci avesse visto lungo?

Bernard-Henri Lévy, nel suo editoriale sulla Brexit di qualche giorno fa sul Corriere della Sera, ha dimostrato di non avere capito niente.

Non è una novità.

Lo ha già spiegato Ernesto Galli della Loggia, il quale ha giustamente fustigato tutti coloro che degradano la sovranità a demagogia populista ogniqualvolta non si mostri d’accordo con l’oligarchia dominante i mass media.

E’ vero. Ma vorrei suggerire una lettura ulteriore.

E se questo populismo dei referendum avesse visto più lungo degli oligarchi?

Il dubbio viene spontaneo perché in un libro giustamente celebrato, dal titolo The Fourth Revolution (Allen Lane, 2014) gli autori, John Micklethwait e Adrian Wooldridge, hanno suggerito che lo Stato inventato da Thomas Hobbes abbia bisogna di una ulteriore ristrutturazione, dopo le tante che ha conosciuto, se vuole sopravvivere.

Quale?

Autolimitarsi ispirandosi a Singapore e alla Svezia post-welfare state.

Certo c’è di mezzo un ostacolo: la democrazia che dallo Stato vuole tutto, subito e gratis.

Ma se questa stessa democrazia si dimostrasse più lungimirante di quanto gli oligarchi la credono capace, allora essa col referendum avrebbe lanciato un segnale: “sì, sono disposta a rinunciare a tutto pur di avere qualcosa”.

In fin dei conti è su questo dilemma che ruota da duecento anni il dibattito sullo Stato.

Ebbene per gli autori, appartenenti alla nidiata dell’Economist, lo Stato può definirsi liberale solo se limitato negli obiettivi e nei mezzi mentre la democrazia è tanto più all’altezza di se stessa quanto prima lo comprende.

Ora l’Europa, con la sua cascata di diritti sociali a beneficio di tutti e di doveri imputati a nessuno è esattamente il modello da cui rifuggire.

Non sarà allora che il popolo britannico, tra una birra e l’altra, ha intuito prima degli altri in che direzione spira il vento e si è impegnato a sganciarsi alla prima occasione?

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