Analisi

Caso Telegram, Durov come Assange al contrario: il crimine è la riservatezza e non la trasparenza

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Al centro della contesa il carattere non decifrabile di Telegram, una piattaforma che assicura una relativa privacy degli utenti. Come sempre, però, proprio l’impenetrabilità di un sistema di comunicazione presenta due facce: da una parte la tutela delle conversazioni di privati cittadini, dall’altra la copertura di azioni illecite.

L’arresto a Parigi di Pavel Durov , il fondatore di Telegram, fuoriuscito dalla Russia di Putin con trascorsi non chiaramente  distanti dagli apparati di sicurezza del Cremlino, si presenta come un caso Assange al contrario.

Mentre il fondatore di WkiLeaks aveva diffuso una poderosa mole di documenti riservati della diplomazia statunitense, sollecitando la piena trasparenza nella politica della Casa Bianca progettate e occultate proprio nelle pieghe del social.

Nel caso di Durov, invece, è un’istituzione pubblica, il governo francese, che si propone di fare chiarezza nell’attività di un social considerato rifugio e retrovia di interessi opachi se non chiaramente criminali.

Telegram non decifrabile

Al centro della contesa è proprio il carattere non decifrabile di Telegram, una piattaforma che assicura, almeno fino ad oggi, una relativa privacy degli utenti.

Come sempre, però, proprio l’impenetrabilità di un sistema di comunicazione presenta due facce: da una parte la tutela delle conversazioni di privati cittadini, dall’altra la copertura di azioni illecite.

L’arresto di Durov ci costringe ad assumere sia come singoli cittadini ma anche come sistema nazionale una posizione esplicita su questa ambiguità.

Al momento non è ancora chiaro il capo di imputazione

Si parla di complicità da parte del capo di Telegram, proprio per aver progettato un sistema riservato, con i traffici e le azioni criminali che sono rintracciate sulla piattaforma: contrabbando di valuta, manomissione di criptomonete, inquinamento di informazioni, fake news, pedopornografia e tutto il corredo di azioni più infamanti che si connettono agli ambienti malavitosi.

Violazione del GDPR?

Infine, last but not least, la gestione dei dati: la nuova normativa europea, il GDPR, prevede infatti che una piattaforma debba conservare i dati raccolti con la sua attività esattamente nel paese, comunque nell’area economica in cui raccoglie quei dati e quindi, anche nel caso di Telegram per la sua attività nell’Unione Europea, in un paese di questa area. Invece il social di Durov riversa la poderosa massa di informazioni raccolte in un data server stanziato a Dubai. Un paese dove la normativa sulla privacy è quanto meno approssimativa e che pullula di agenti di servizi di ogni paese, in particolare russi.

Ma la vicenda presenta aspetti che interrogano tutti gli utenti della rete.

Intanto, sul perché l’azione giudiziaria parta da Parigi. Secondo, perché lo stesso Durov, ben conoscendo il mandato di arresto che lo inseguiva da parte della magistratura francese, decide di fare tappa proprio nella capitale transalpina.

Quale responsabilità sui contenuti per le piattaforme?

Ma come premessa del caso giudiziario c’è una questione nodale che investe frontalmente l’intera economia digitale: la responsabilità oggettiva di un progettista di sistemi, o di un proprietario di una piattaforma per le attività che si consumano in quel sistema e su quella piattaforma.

Dai primi elementi che filtrano dalle autorità francesi sembra proprio questo il principio che viene contestato al fondatore di Telegram: aver consapevolmente assicurato un servizio particolarmente efficiente per attività illegali.

Il caso Telegram può diventare un precedente per il mondo dei social

Un principio che, se sanzionato giuridicamente, esploderebbe come una bomba sullo scenario digitale, colpendo inevitabilmente i grandi gruppi della Silicon Valley: le campagne di malversazione informativa coltivate su Facebook; i filmati provocatori con sfondo di discriminazione sessuale o etnica, proposti da Youtube, tanto per fare solo qualche primo esempio, potrebbero essere motivo per incriminare, se non arrestare i vertici dei due grandi brand tecnologici.

Un precedente anche per il mondo dell’AI?

Ma è soprattutto la nuova fase segnata dalla moltiplicazione di dispositivi di intelligenza artificiale che entrerebbe in fibrillazione: le allucinazioni di questa o quella soluzione potrebbero essere causa di rivendicazione magari anche solo civile da parte di utenti che potrebbero chiedere con class action miliardarie risarcimenti ai progettisti?

Pensiamo a cosa si sta preparando sul mercato con le personalizzazioni dei sistemi generativi: chi è il responsabile dei meccanismi di intelligenza artificiale ai fini della gestione dati? Il progettista dell’algoritmo di base o il programmatore di una verticalizzazione?

Siamo ormai ad un bivio che non permette altre approssimazioni

Inevitabilmente, sta entrando in crisi l’idea di far convivere riservatezza con sicurezza.  Come appunto Assange con la sua scelta ha messo all’ordine del giorno il tema della trasparenza della politica di uno Stato, che al tempo della Rete non può più rivendicare interessi nazionali per coprire azioni acrobatiche e spregiudicate, così il caso Telegram mette in evidenza come anche l’attività dei singoli individui o di gruppi privati debba essere trasparente e pubblica. Una trasparenza che deve iniziare dall’affidabilità degli algoritmi e degli automatismi delle piattaforme e deve continuare con la condivisione dei data server.

Il ruolo dell’open source per garantire trasparenza

L’open source come sistema di reciproco controllo che alza la soglia di trasparenza e verificabilità di ogni azione mediante una sorveglianza reciproca fra istituzioni, piattaforme e cittadini, sempre più diventa un metodo efficiente e sicuro per intensificare le relazioni digitali.

La riservatezza nel tempo dell’accessibilità di massa alle informazioni non può essere più una inevitabile condizione per argomenti delicati o rischiosi. Il costo sociale di proteggere in maniera sistematica le attività pubbliche e private comporta infatti la creazione di vaste zone salve, vere e proprie città stato virtuali, in cui imbastire ogni genere di attività.

Il tema che abbiamo dinanzi riguarda un vero salto di civiltà: concordare un nuovo statuto, un nuovo patto fra istituzione e cittadini che alzi la soglia della trasparenza per rendere individuabili gli agenti di corruzione e inquinamento. Esattamente come si sta discutendo di liberalizzare le cosiddette droghe leggere, per ridurre l’area criminale che prolifera nelle pieghe del proibizionismo.

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