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Caso Comey (FBI), Maduro (Venezuela) accusato di corruzione, The Economist contro Trump, G7 Taormina

finestra sul mondo

Usa, vicedirettore Fbi McCabe contraddice Trump su Russia e Comey

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Il vicedirettore dell’Fbi, Andrew McCabe, che da mercoledi’ ha assunto la direzione pro tempore dell’agenzia investigativa Usa dopo il licenziamento di James Comey da parte del presidente Usa, Donald Trump, ieri ha testimoniato di fronte al Senato in merito alle indagini sulle presunte intromissioni della Russia nel processo elettorale Usa dello scorso anno. McCabe, riferiscono il “New York Times” e la “Washington Post”, ha “smentito la Casa Bianca” su due punti fondamentali. Anzitutto, ha negato che Comey avesse perso la fiducia di molti dei suoi sottoposti, a causa della sua controversa condotta nell’arco degli ultimi 12 mesi. Comey aveva suscitato critiche e richieste di dimissioni da parte di entrambi gli schieramenti politici statunitensi: prima con la decisione di scagionare pubblicamente Hillary Clinton per la sua gestione irregolare delle email del dipartimento di Stato, arrogandosi un ruolo che spetta al procuratore generale; poi annunciando pubblicamente la riapertura delle indagini a carico della candidata Democratica a soli 11 giorni dalle elezioni presidenziali. E ancora, trascinando le indagini sui presunti contatti tra figure della campagna presidenziale di Donald Trump e il governo russo, in corso ormai da un anno; queste indagini non hanno prodotto ad oggi alcuna prova, ma continuano ad essere oggetto di indiscrezioni e divulgazioni anonime di notizie riservate che pesano sull’amministrazione presidenziale come una spada di Damocle. E proprio su questo punto, ieri McCabe ha contestato con durezza la Casa Bianca, dichiarando, di fronte alla commissione Intelligence del Senato, che l’indagine resta “altamente significativa”, e che “per farla breve, non e’ possibile impedire agli uomini e alle donne dell’Fbi di fare la cosa giusta”: parole con cui McCabe pare aver sposato la linea dei Democratici, che accusano Trump di aver licenziato Comey per insabbiare in qualche modo le indagini sulla sua presunta “collusione” tra l’amministrazione presidenziale e la Russia. La “Washington Post” e il “New York Times” elogiano McCabe per la sua “strenua difesa dell’indipendenza dell’Fbi”. Il “New York Times”, in particolare, dedica al vice direttore dell’Fbi un lungo pezzo elogiativo, in cui sostiene che il funzionario sia tenuto in gran conto all’interno dell’agenzia investigativa “per la sua precisione e il suo intelletto”. L’articolo, pero’, al contrario di quelli pubblicati da altri quotidiano, non menziona i dubbi che offuscano l’immagine dello stesso McCabe: la moglie del vice direttore dell’Fbi, infatti, ha ottenuto 700 mila dollari di contributi dal Partito democratico e dal governatore democratico della Virginia, Terry McAuliffe, nel 2015, nella veste di candidata al Congresso di quello Stato. di li’ a poco, a McCabe venne affidata la supervisione delle indagini dell’Fbi a carico della Clinton: un conflitto di interessi apparentemente macroscopico, che pero’ l’agenzia ha deciso di ignorare, e che il vicedirettore giustifica affermando di non aver avuto alcun ruolo nella campagna elettorale della moglie.

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Usa, la Casa bianca cambia versione sul licenziamento del direttore dell’Fbi

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, era deciso da tempo a licenziare il direttore dell’Fbi James Comey, a prescindere dai pareri in tal senso espressi dal procuratore generale Jeff Sessions e dal vice di quest’ultimo, Rod Rosenstein. Lo ha ammesso ieri lo stesso Trump, durante una intervista all’emittente Nbc in cui ha ricostruito gli eventi che hanno portato alla sua contestatissima decisione. Trump ha cosi’ contraddetto la versione iniziale della Casa Bianca, secondo cui a sollecitare per primo il licenziamento di Comey, sottolineandone l’inadeguatezza, era stato per primo il vice procuratore generale Rosenstein, figura nota per la sua equanimita’ e per l’apprezzamento bipartisan di cui gode al Congresso. Stando alle ricostruzioni emerse nelle ultime 48 ore, sarebbe stato proprio Rosenstein a fare pressioni sulla Casa Bianca, spingendola a ritrattare il retroscena. Il vice procuratore, comunque, non ha disconosciuto la sua relazione in cui esprime pareri durissimi in merito alla condotta di Comey nell’arco dell’ultimo anno, prima sul caso delle e-mail di Hillary Clinton, e poi riguardo i presunti contatti tra la Russia e la campagna del presidente Trump; in quel rapporto, del resto, il vice procuratore generale citava numerosissimi procuratori ed ex procuratori generali di tutti i colori politici e di tutte le amministrazioni presidenziali Usa, unanimi nel ritenere la condotta dell’ormai ex capo dell’Fbi inadeguata e lesiva della credibilita’ dell’agenzia. Era questa, almeno fino alla scorsa settimana, anche la posizione del Partito democratico, che proprio a Comey, e alle sue fragorose esternazioni pubbliche riguardo le indagini dell’agenzia, imputava la sconfitta di Clinton alle elezioni presidenziali dello scorso anno. Dallo scorso martedi’, pero’, i Democratici puntano l’indice contro il presidente, sostenendo che il licenziamento di Comey sia un tentativo della Casa Bianca di insabbiare le indagini in merito alla presunta collusione del presidente e dei suoi collaboratori con la Russia. Nel corso dell’intervista alla Nbc, ieri, Trump ha ribadito di non essere personalmente oggetto di indagini dell’Fbi: a confermarglielo, in tre diverse occasioni, sarebbe stato lo stesso Comey. I Democratici, pero’, hanno comunque paragonato il licenziamento del direttore dell’Fbi da parte di Trump al “Saturday Night Massacre” del 1973, quando l’allora presidente Richard Nixon, indagato e gia’ compromesso nell’ambito dello scandalo Watergate, decise di licenziare il procuratore speciale Archibald Cox, che guidava le indagini.

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Venezuela, su Maduro l’ombra delle corruzione “brasiliana”

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Per una volta i titoli non sono sugli scontri di piazza, ma le polemiche non sono meno accese. Dal Brasile arriva pesante la eco delle dichiarazioni di Monica Moura e Joao Santana, i due pubblicisti che hanno fatto la fortuna delle campagne elettorali degli ex presidenti Lula e Rousseff. Al pari di altri imputati, la coppia ha pattuito con la giustizia brasiliana la possibilita’ di sconti di pena in cambio della piena confessione sulle trame di corruzione di cui era a conoscenza. Il presidente venezuelano Nicolas Maduro avrebbe pagato a Moura undici milioni di dollari in nero per consulenze utili alla rielezione dell’ex capo di Stato Hugo Chavez, nel 2012. “Maduro riceveva Monica nel suo ufficio, le consegnava valige con il denaro e le dava una scorta per garantirle protezione” nello spostamento in citta’, si legge nella testimonianza resa dalla stessa Moura. Una campagna alimentata anche dai nove milioni di dollari che due imprese brasiliane con affari in Venezuela – Odebrecht e Andrade Gutierrez – avrebbero versato in un conto aperto ad hoc in Svizzera. A garantire questo ulteriore flusso di denaro ci avrebbe pensato l’ambasciatore venezuelano a Caracas Miximilien Arvelaiz. Poi c’e’ il caso sanita’. Il presidente ha nominato ieri con decreto Luis Lopez Chejade come nuovo ministro della Salute, in sostituzione di Antonieta Caporales. L’avvicendamento fa notizia perche’ a inizio settimana il ministero rendeva note – attraverso il rapporto epidemiologico 2016 – dati preoccupanti sulla situazione del paese: aumenti sensibili nei tassi di mortalita’ infantile e materna, accelerazioni di epidemie e il riemergere di malattie virali debellate. Un quadro che nei commenti veniva in fretta associato alla carenza di medicinali che si registra nel paese. Il bollettino non si pubblicava dal 2014 – per “evitare interpretazioni politiche dei dati”, riferivano fonti governative citate dalla stampa internazionale – e Caporales ha perso il posto che aveva preso solo a gennaio. Sullo sfondo, rimangono intatte le tensioni tra governo e opposizione. Maduro sferza ancora gli organismi pubblici a denunciare il “Colpo di Stato” tentato sulle piazze ma ha anche avvertito che “non tollerera’” abusi nell’uso della forza da parte della polizia o della Guardia nazionale bolivariana. Di “un fatto grave” che “viola la convenzione di Vienna” parla l’ambasciatore venezuelano a Madrid Mario Isea: ospite di una iniziativa organizzata dalle vittime delle azioni violente delle opposizioni, il diplomatico non ha potuto lasciare il centro culturale Venezuela Diversidad Cultural per la presenza di circa duecento manifestanti. Un “sequestro” di cui Caracas ha chiesto conto a Madrid: “il governo spagnolo garantisca per l’integrita’ dei nostri diplomatici”, ha scritto in un tweet la ministro degli Esteri Delcy Rodriguez.

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Regno Unito, il programma del Labour piace agli elettori ma Corbyn no

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Resta in primo piano sulla stampa del Regno Unito il programma elettorale del Labour, principale partito di opposizione, trapelato prima della pubblicazione ufficiale. Ieri si e’ tenuta la riunione per la stesura definitiva e il leader, Jeremy Corbyn, ha dichiarato che c’e’ stato un consenso unanime sui contenuti, benche’ alcuni quotidiani, in particolare “The Telegraph”, parlino invece di profonde divisioni interne. Un sondaggio di ComRes per il tabloid “Mirror” rivela che le proposte laboriste piacciono agli elettori, comprese quelle per rinazionalizzare le ferrovie (52 per cento di consensi), l’energia (49) e le poste (50); il 71 per cento concorda sul divieto dei contratti a zero ore; il 65 per cento sull’aumento delle tasse per i piu’ ricchi e il 74 per cento sul blocco dell’ulteriore innalzamento dell’eta’ pensionabile. Eppure solo il 30 per cento pensa che Corbyn dovrebbe avere la possibilita’ di diventare primo ministro mentre il 56 per cento ritiene che sarebbe un disastro. Un editoriale non firmato, attribuibile alla direzione, si sofferma proprio su questo elemento: i risultati dell’indagine mostrano che il partito perde voti a causa della sua leadership. Per quanto riguarda le altre testate di orientamento progressista, l’editoriale di “The Guardian” parla di un “passo audace” per l’impressionante serie di interventi statali proposti; tuttavia, alcuni degli impegni sono piu’ simbolici che utili. Il gruppo di editorialisti valuta positivamente alcuni aspetti, in particolare l’accento sull’equita’ e la priorita’ attribuita ai giovani, ma rileva lacune e problemi di credibilita’. L’editoriale di “The Independent” riconosce che la giustizia sociale e’ al centro della politica del Labour, ma individua dei difetti nelle parti riguardanti le nazionalizzazioni e l’immigrazione; inoltre il leader non riesce a ispirare fiducia. Sullo stesso giornale altri commenti parlano di una piattaforma economica populista (Rachel Shabi) e vedono nella fuga di notizie il risultato di divisioni interne e problemi di organizzazione (John Rentoul). Molto critici i commenti dei giornali conservatori. Per “The Telegraph”, la “follia” del Labour deve essere contrastata con forza: l’8 giugno si scegliera’ chi dovra’ gestire l’enorme compito di portare il paese fuori dall’Unione Europea e il caos della fuga di notizie gia’ da solo basta a dimostrare la disorganizzazione del Partito laborista. Per l’editorialista di “The Times” Philip Collins il programma, pieno di divieti e impegni per i quali non sono indicate coperture finanziarie, apre la strada all’eutanasia del Labour. Infine, per l’editoriale del “Financial Times” il documento dice molto sullo stato del principale partito di opposizione, che guarda al passato, agli anni Settanta, quando i mercati erano rigidamente regolati e il governo interveniva regolarmente nell’economia, con notevoli costi. Ci sono elementi, tuttavia, che meritano di essere discussi, in particolare riguardo alla spesa per i servizi pubblici e l’assistenza sociale. Uno degli aspetti piu’ preoccupanti e’ il silenzio assoluto sulla Brexit.

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The Economist”, perche’ la Trumponomics non rendera’ di nuovo grandi gli Stati Uniti

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – L’ultimo numero del settimanale britannico “The Economist” dedica un ampio approfondimento alla politica economica del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che espone i suoi obiettivi in un’intervista, la prima rilasciata alla testata: far si’ che piu’ cittadini siano retribuiti meglio aumentando il tasso di crescita, secondo alcuni suoi consulenti al tre per cento. A suo parere il modo migliore per farlo e’ innanzitutto mediante accordi commerciali piu’ equi, ovvero con flussi di scambi piu’ equilibrati; le societa’ dovrebbero essere premiate se investono in casa e punite se lo fanno all’estero. Che cos’e’ la Trumponomics per Trump? “Riguarda il rispetto di se’ come nazione. Riguarda gli accordi commerciali, che devono essere equi”. Il leader della Casa Bianca ha rinunciato a uscire dal Nafta, l’Accordo nordamericano per il libero scambio, ma promette una “massiccia” rinegoziazione. E sull’immigrazione precisa di non voler chiudere le frontiere: “Vogliamo che la gente entri legalmente”. Gli altri due elementi, familiari nella politica economica repubblicana dai tempi di Ronald Reagan, e necessari, purche’ ben attuati, sono il taglio delle tasse e la deregulation. “Ho tagliato imponenti regolamenti, e siamo appena all’inizio”, dichiara Trump. Riguardo alla legislazione fiscale, piuttosto complessa, il presidente vuole che sia “il piu’ semplice possibile”. Un quarto elemento e’ l’investimento nelle infrastrutture, di solito associato ai democratici, che, secondo le promesse, dovrebbe collocarsi tra 550 milioni e un miliardo di dollari. La sua visione, osserva l’autorevole periodico, poggia sull’azione sul lato dell’offerta, ma sarebbe un errore considerarla “un rimaneggiamento dell’ortodossia repubblicana”; anzi, la Trumponomics non e’ neanche una dottrina economica, ma “una serie di proposte messe insieme da imprenditori cortigiani per il loro re”. Trump ha ascoltato decine di dirigenti, ma gli economisti scarseggiano alla Casa Bianca; il suo approccio nasce da una mentalita’ secondo la quale negli accordi ci sono vincitori e vinti e astuti negoziatori sconvolgono i principi astratti. Contrariamente a questo sostengono Trump e la sua squadra, non ci sono prove che il sistema globale degli scambi o i singoli accordi commerciali abbiano sistematicamente svantaggiato gli Stati Uniti. Il disavanzo commerciale del paese, invece, puo’ essere spiegato dal divario tra quanto i suoi cittadini risparmiano e quanto investono. Sulla base dei manuali, e’ probabile che l’espansione degli investimenti fara’ aumentare ulteriormente il deficit commerciale. Un problema ancora piu’ grande e’ che la Trumponomics poggia su una visione limitata dell’economia nazionale: il presidente e i suoi consiglieri sono ossessionati dall’effetto del commercio sul lavoro nell’industria manifatturiera, che pero’ occupa solo l’8,5 per cento dei lavoratori e produce solo il dodici per cento del prodotto interno lordo. Il settore dei servizi viene praticamente ignorato e cio’ rende la Trumponomics cieca di fronte al fenomeno piu’ preoccupante: l’innovazione tecnologica sta devastando la distribuzione, che impiega piu’ lavoratori del comparto manifatturiero. Il nazionalismo economico fara’ accelerare l’automazione perche’ le imprese, limitate nella delocalizzazione, investiranno nelle macchine per restare competitive. Il piano, e’ la conclusione di “The Economist”, potrebbe promuovere un “mini-boom” a breve termine, ma e’ una “debole ricetta” sul lungo periodo e puo’ comportare pericoli per il paese e per il mondo.

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Francia, Bayrou rovina le investiture di Macron per le parlamentari

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Sono stati resi noti ieri giovedi’ 11 maggio i nomi dei primi 428 candidati alle elezioni parlamentari del giugno prossimo scelti dal nuovo partito “La Re’publique En marche” (Lrem, “La Repubblica in marcia”; ndr) fondato dal neo-presidente francese Emmanuel Macron appena dopo la sua elezione con il voto di domenica scorsa, e la lista ha gia’ provocato una crisi nella costruzione della futura maggioranza presidenziale. Lo scrive il quotidiano economico “Les Echos” riferendo dell’aperto dissenso manifestato da Francois Bayrou, leader del partito centrista Movimento democratico (MoDem) che si era schierato con Macron gia’ prima del voto presidenziale ed aveva contribuito in maniera determinante alla sua vittoria: “La lista delle investiture e’ quella del movimento politico En Marche (che appunto e’ stato appena ribattezzato Lrem, ndr) e non assomiglia in nessun modo a quella a cui il Modem aveva dato il proprio assenso”, ha dichiarato. Una presa di posizione che e’ piu’ che un sasso gettato nelle acque stananti dei primi passi del nuovo presidente Macron: Bayrou infatti, commenta “Les Echos”, sembra voler andare alla prova di forza ed ha convocato per la serata di oggi venerdi’ 12 l’ufficio politico del MoDem, “sperando che nelle ore a venire un sussulto di ragionevolezza permetta di individuare candidati comuni in tutte le circoscrizioni elettorali, come del resto io stesso e Macron avevamo convenuto sin dal primo giorno della nostra alleanza”; ieri sera i due alleati si sono parlati al telefono, senza pero’ riuscire ancora a trovare un’intesa. Tuttavia, nota “Les Echos”, la lista dei 428 candidati lascia ampi margini di manovra perche’ i seggi all’Assemblea Nazionale sono 577: Macron, che ha l’ambizione di avviare una ricomposizione del panorama politico francese, vorrebbe integrare nella sua futura maggioranza alcune personalita’ di spicco della destra moderata. A questo scopo, analizza “Les Echos”, sara’ determinante la scelta del primo ministro che il neo presidente nominera’ entro 2-3 giorni e comunque ben prima che scada il termine per la presentazione delle candidature alle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giugno prossimi: con un premier di destra Macron potrebbe ampliare la dinamica della ricomposizione politica che la sua elezione ha innescato e bilanciarla in direzione del centro-destra, visto che finora ha investito soprattutto un Partito socialista ormai in aperta crisi esistenziale.

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La Germania non cede alle richieste della Nato, non partecipera’ attivamente alla guerra contro il terrorismo

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – La Germania non e’ disposta a partecipare attivamente alle guerra contro lo Stato islamico (Isis) nell’ambito della Nato. Il cancelliere tedesco Angela Merkel (Cdu) lo ha ribadito giovedi’, dopo l’incontro con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Berlino, ha puntualizzato il cancelliere, continuera’ a contribuire alla campagna contro l’Isis tramite le ricognizioni e il controllo del traffico aereo tramite velivoli Awacs. Stoltenberg sta sondando l’atteggiamento dei singoli Stati membri soprattutto per quanto riguarda il rafforzamento della missione “Resolute Support” in Afghanistan, dove negli ultimi anni i talebani hanno riconquistato vaste aree periferiche del paese. Washington chiede con forza un ruolo piu’ attivo dell’Alleanza nella lotta contro il terrorismo internazionale. Ieri Stoltenberg ha insistito con il cancelliere Merkel sul fatto che la Nato non ha ancora effettuato direttamente missioni di combattimento contro l’Isis. Una decisione in merito a questo punto, e al rafforzamento della presenza militare dell’alleanza in Afghanistan, dovrebbe essere assunta in occasione del vertice della Nato in programma a Bruxelles per la fine del mese. Ad oggi le Forze armate tedesche sono presenti in Afghanistan con quasi mille soldati, impegnati perlopiu’ nella formazione dell’Esercito nazionale afgano. Merkel ha anche ribadito a Stoltenberg che il governo federale ha come obiettivo il progressivo aumento del bilancio della difesa verso l’obiettivo del 2 per cento del pil.

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Spagna, le spoglie di Francisco Franco rimangono ancora al loro posto

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Per il momento le spoglie di Francisco Franco non verranno toccate. Il parlamento spagnolo ha approvato ieri una mozione con cui chiede al governo di esumare la salma del “caudillo” e spostarla dalla Valle de los Caidos (Valle dei caduti), l’imponente complesso architettonico eretto non lontano da Madrid. La decisione dell’Aula – maturata con 198 voti a favore, 140 astensioni e un solo no – non ha natura vincolante ma per quello che il mausoleo rappresenta nel sentire comune del paese ha un peso politico non indifferente. L’esecutivo di Mariano Rajoy, informa “El Mundo”, prende tempo per analizzare in profondita’ ogni dettaglio legale e rispondere alla prima dichiarazione formale che il Parlamento fa sulla materia. Tenendo ben presente che non e’ obbligato a muoversi nella direzione indicata dal Congresso. Il Valle de los Caidos fu eretto per dare riposo eterno alle vittime – tutte – della Guerra civile e, secondo la storiografia piu’ accreditata, fu costruito soprattutto con le braccia dei prigioniero politici repubblicani. Dal 1975, anno della morte, ospita anche le spoglie di Francisco Franco, circostanza che contribuisce a dare dell’intero complesso una visione spesso denunciata da parte della societa’ spagnola: quella di un mausoleo dedicato alla memoria del dittatore. I socialisti, firmatari della mozione, chiedono di dare un nuovo “significato” alla struttura, trasformandola in uno “spazio a favore della riconciliazione e della democrazia”, riconoscendo le vittime della Guerra civile e quelle del periodo franchista. Un percorso che passa anche per la ricollocazione, in un luogo di minore importanza, dei resti di Jose’ Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange. Il governo ricorda alle opposizioni che la legge sulla Memoria storica, voluta dal governo socialista di Jose’ Luis Rodriguez Zapatero nel 2007, gia’ spogliava il “Valle” dalla condizione di monumento funerario politico, trasformandolo in un ente sottoposto alle norme che regolano i luoghi di culto e i cimiteri pubblici. Il testo di quella legge dice ancora che “in nessun posto del complesso potranno svolgersi atti di natura politica ne di esaltazione della Guerra civile, dei suoi protagonisti o del franchismo”. Dal governo, in sintesi, si fa sapere che formalmente il mausoleo ha gia’ da tempo perso il valore di “luogo della memoria franchista e nazionale cattolica” denunciato dall’opposizione.

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G7, a Bari prove generali del vertice di Taormina

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Il commercio mondiale e il protezionismo sono banditi dell’agenda dei ministri delle Finanze e dei banchieri centrali del G7 riuniti a Bari. Si tratta di questioni che verranno invece affrontati dai leader delle sette economie avanzate fra due settimane, quando si incontreranno a Taormina, al vertice che coincidera’ con la prima visita in Europa del presidente Usa Donald Trump. La presidenza del G7 e’ retta dall’Italia, rappresentata dal premier Paolo Gentiloni. Roma ha posto quattro temi all’ordine del giorno: crescita inclusiva – vale a dire la lotta contro le disuguaglianze – misure contro il finanziamento del terrorismo e la criminalita’ informatica, una migliore cooperazione tra le istituzioni finanziarie e la questione della tassazione delle grandi imprese digitali. In Italia il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan aveva gia’ annunciato la questione fiscale al World Economic Forum di Davos. L’Italia e la Francia chiedono alle grandi multinazionali, come i colossi tecnologici Google o Yahoo, di non eludere l’imposizione fiscale dei paesi dove operano. Ma il filo conduttore dell’incontro di Bari e’ politico, e attualmente focalizzato sull’Europa: “Il compito principale e’ quello di creare fiducia. La fiducia nel futuro”, ha spiegato l’ambasciatore Raffaele Trombetta, che ha supervisionato l’organizzazione del vertice di Taormina. “Dobbiamo combattere lo scetticismo circa le istituzioni e le paure delle persone nei paesi del G7 e prenderci cura di quanti si sentono esclusi”, ha detto lo “sherpa” italiano dell’ufficio del primo ministro. Cio’ include la questione di come la produttivita’ e l’occupazione potrebbero salire e di come i progressi tecnologici possano creare benefici per l’intera collettivita’. Oltre ai ministri delle Finanze e ai banchieri centrali di Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia, a Bari ci saranno i rappresentati di tutte le maggiori organizzazioni economiche e finanziarie internazionali, dal Fondo monetario internazionale alla Banca mondiale, alla Commissione europea e all’Euro Group. In un voluminoso rapporto, l’Ocse ha citato le proprie priorita’ in vista degli incontri del G7, a partire dalla nuova rivoluzione industriale e l’impatto sui governi e le imprese”. “Due persone su tre nei Paesi dell’Ocse non hanno le competenze per gareggiare nell’era digitale”, sottolinea il capo delegazione dell’organizzazione, Gabriela Ramos. A monopolizzare l’attenzione dei partecipanti al G7, pero’, e’ anche il futuro del processo di integrazione europea, specie dopo l’elezione dell’europeista Emmanuel Macron in Francia. L’Italia preme affinche’ si arrivi a un ministro economico comune per la zona euro. “Questa idea, il Governo l’ha lanciata qualche tempo fa”, ha spiegato il ministro Padoan. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, prima dell’incontro di Bari e’ tornato a chiedere un rafforzamento delle istituzioni della zona euro e una maggiore disciplina di bilancio negli Stati membri. In un’intervista con il quotidiano “La Repubblica”, Schaeuble ha dichiarato: “Senza l’Italia non c’e’ integrazione europea e l’Unione monetaria deve essere rafforzata. Inoltre bisogna creare le condizioni per gli investimenti. L’Italia deve continuare con le riforme”. I mercati guardano all’Italia con preoccupazione, sia in termini politici – il paese andra’ a elezioni non piu’ tardi della prossima estate – sia perche’ la terza economia dell’eurozona resta fanalino di coda del continente in termini di crescita.

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Al G7 Finanze Roma difende le sue banche

12 mag 11:14 – (Agenzia Nova) – Il ministro italiano delle Finanze, Pier Carlo Padoan, si e’ sforzato di convincere il collega statunitense Steven Mnuchin della solidita’ del sistema bancario dell’Italia: lo scrive il quotidiano francese “Le Figaro” citando un dispaccio dell’agenzia di stampa “France Presse” (Afp) sull’incontro avvenuto tra i due nella serata di ieri giovedi’ 11 maggio a Bari alla vigilia del vertice dei ministri delle Finanze dei paesi del G7 che si tiene a Bari. Nel corso del colloquio sarebbe stato proprio il segretario al Tesoro Usa ad affrontare la questione della situazione del sistema bancario della Penisola, che suscita regolarmente preoccupazione nei mercati a causa del peso dei crediti a rischio e della sua scarsa profittabilita’. Secondo quanto ha dichiarato ai giornalisti un alto funzionario del governo di Roma, Padoan da parte sua ha fornito a Mnuchin “cifre ed informazioni allo scopo di dissipare una comprensione errata della situazione delle banche italiane”: il ministro ha detto in particolare si attendersi una diminuzione “assai veloce” del livello dei crediti a rischio detenuti dalle banche italiane ed ha aggiunto che le cifre riferite dalla stampa quanto alla massa di crediti a rischio sono imprecise, vecchie e “non aggiornate”; la chiacchierata tra Padoan e Mnuchin, secondo la fonte, e’ stata “uno scambio amichevole”. I grandi tesorieri dei sette paesi occidentali piu’ ricchi del pianeta (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada) oggi venerdi’ 12 e domani sabato 13 maggio discuteranno tra le altre cose delle ineguaglianze economico-sociali, della lotta al finanziamento del terrorismo internazionale e della tassazione delle multinazionali del web; nell’ordine del giorno invece, secondo quanto ha fatto sapere il ministero del Tesoro italiano, non dovrebbe abbordare le questioni relative al protezionismo, ai trattati sul commercio internazionale ed al clima, anche se questi temi possono essere affrontati negli incontri bilaterali che si terranno a margine del vertice.

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