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Caso Apple, la Ue rischia con l’Irlanda un’altra ‘Brexit’?

La decisione presa dall’Antitrust Ue contro Apple e l’Irlanda rischia di far saltare tutto il piano europeo per contrastare l’elusione fiscale.

Così la pensa Liza Lovdahl Gormsen, ricercatrice associato il British Institute di Diritto Internazionale e Comparato, autrice di un interessante articolo uscito su Les Echos.

Per meglio dire, spiega la ricercatrice, accusando il governo di Dublino di aver falsato la concorrenza con le agevolazioni fiscali concesse al gruppo di Cupertino che, secondo la Ue, sarebbero identificabili come aiuti di Stato illegali, si rischierebbe di far saltare tutto il lavoro condotto in primis dall’OCSE che ha avuto ampio sostegno globale.

Una mossa che potrebbe avere gravi ripercussioni sugli investimenti tecnologici e nelle relazioni con gli USA.

Non a caso l’Irlanda ha preferito rinunciare ai 13 miliardi di euro di tasse che Apple è chiamata a restituire perché teme la fuga dei capitali e ha fatto ricorso contro la Ue.

Gli Stati membri, scrive Liza Lovdahl Gormsen su Les Echos, sono sovrani in materia di politica fiscale ed è all’unanimità che devono accordarsi sulle nuove misure: “Questa autonomia è importante poiché offre un mezzo essenziale per gestire le esigenze economiche di ogni Paese”.

Per accelerare le riforme, la Commissione Ue sta cercando di fare pressione, puntando su “imbarazzo e inadeguatezza” degli aiuti pubblici, e spingere così gli Stati membri ad allinearsi.

Parallelamente al caso irlandese, la Ue ha condotto indagini su Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio, accusati di falsare la concorrenza, accordando trattamenti fiscali di favore ad aziende come Starbucks, Amazon, Fiat e McDonald.

Ricorrendo a una nuova interpretazione delle regole sugli aiuti di Stato, la Commissione Ue si è posizionata su un terreno giuridico nuovo, sostiene la Lovdahl Gormsen.

La Ue ritiene che le autorità fiscali nazionali abbiano permesso ad alcune multinazionali di beneficiare di vantaggi in modo abusivo, calcolando in modo errato la base imponibile, senza rispettare i tassi di mercato.

Tuttavia, osserva Lovdahl Gormsen, questo ragionamento non è corretto: intanto perché va contro i regolamenti nazionali degli Stati membri interessati, suggerendo che il principio di libera concorrenza debba essere applicato, ignorando completamente la legislazione nazionale che disciplina le imposte per le società non residenti.

Le disposizioni internazionali in materia di fisco prevedono che le tasse vengano pagate nel Paese dove sono generati i profitti di R&D e di proprietà intellettuale e non laddove i prodotti vengono venduti.

Sempre secondo quanto scrive Lovdahl Gormsen, la Commissione Ue si è poco curata di evidenziare il potenziale impatto di questi accordi fiscali sulla concorrenza: Bruxelles “dovrà provare che la disposizione ha avvantaggiato una sola società invece d’essere stato il risultato del funzionamento normale del sistema”.

Le azioni della Commissione Ue, osserva Lovdahl Gormsen, rischiano di “danneggiare il fragile equilibrio tra i poteri degli aiuti di Stato dell’Ue e la sovranità fiscale degli Stati membri. Creano ambiguità e minano la fiducia nel sistema giuridico. Indeboliscono le autorità fiscali nazionali, generano incertezza giuridica e minacciano di fare della Ue un arbitro supremo di un campo che non è direttamente di propria competenza”.

“Tutto questo – conclude Lovdahl Gormsen – è pericoloso per l’Europa. L’abbiamo chiaramente visto con il voto del Regno Unito per l’uscita dalla Ue. Quelli tra noi che sono convinti dell’importanza cruciale dell’Ue e ansiosi di proteggere il suo futuro devono incitarla a non oltrepassare il limite del proprio mandato e rispettare la sovranità nazionale”.

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