Leggiamo sempre più spesso che le nostre comunicazioni sono sotto controllo, cosa che giustamente genera un fastidio diffuso ma non mi sembra, per questo, vedere meno smartphone in giro o persone che bisbigliano all’orecchio per non essere intercettati. Quando invece di parla di denaro, ecco in questo caso i numeri parlano molto chiaro: oltre l’80% delle transazioni in Italia sono cash. L’attaccamento morboso che abbiamo verso banconote e monete non è legato alla passione per la numismatica quanto invece a ragioni di opportunità e a comportamenti irrazionali.
Le cifre legate all’evasione fiscale nel nostro Paese sono incredibilmente alte e il contante è il suo compagno più fedele, nessuno può negarlo e sappiamo altrettanto bene che solo chi maneggia il cash può decidere se farlo alla luce del giorno oppure, al contrario, “fare nero”, non certo chi ha uno stipendio percepito con bonifico bancario o con assegno. Poi ci sono quelle che sono indicate come motivazioni irrazionali o culturali: non mi piacciono le banche, non voglio far sapere che ho fatto un regalo all’amante, mi piacciono le banconote.
E’ proprio in questa costellazione di atteggiamenti che bisogna lavorare perché sono quelli più difficili da sradicare, quelli che oppongono maggiori resistenze. Se da una parte chi intende evadere non può certo difendersi in modo credibile né lo Stato intervenire se non con strumenti di controllo e sanzionatori, più o meno severi, quando si parla di motivazioni irrazionali, non c’è legge che tenga, devi spiegare, costruire consenso e lavorare sul cambiamento in modo graduale.
Smarchiamo la questione della privacy, che non è in discussione ed è un diritto inviolabile dell’uomo, quindi in alcun modo l’utilizzo del denaro elettronico deve sottintendere deroghe alla privacy dei cittadini, ma anzi le organizzazioni che ne hanno a che fare devono garantire e proteggere i dati sensibili dei propri clienti.
Eccoci quindi al tema culturale, quello che accoglie tutte le sfumature del dissenso, che presta il fianco alle scuse più creative e al proliferare di miti oscuri e che gioca in modo sporco, perché non ha bisogno di dimostrare nulla né di appoggiarsi a dati scientifici. Da una parte parliamo di costo di gestione del contante che in Italia pesa qualcosa come 130euro a testa ogni anno, dall’altra del fatto che non si ha voglia di pagare le commissioni delle carte di pagamento. Poi sentiamo che con contante si amministra meglio il denaro salvo poi essere il Paese con la più alta penetrazione al mondo di carte prepagate. Ci sono eserciti di consumatori terrorizzati che la propria carta possa essere clonata ma è usurata dall’uso frequente al bancomat per ritirare cash ignari che anche sulla sicurezza siamo messi malissimo: nel 2008 il numero di rapine in banca in Italia era il più alto d’Europa, senza contare quello ai benzinai che ancora oggi è insopportabile.
Il Tavolo convocato nei giorni scorsi dalla Ministra Guidi e che prosegue con altri due appuntamenti è l’unico strumento, insieme a quello normativo, già intrapreso con la proposta Boccadutri dello scorso gennaio, per cambiare l’Italia dei pagamenti ed eliminare l’epayment divide che ci stacca dal resto dell’Europa. Strumenti diversi ma che comunque hanno un solo obiettivo: diminuire sempre di più l’utilizzo del contante.
L’opportunismo di una parte politica, invece, che negli ultimi giorni ha deciso bene di cavalcare il dissenso dei commercianti e dei professionisti verso l’obbligo del pos per le transazioni superiori a 30 euro, parlando di costi eccessivi, di norma zoppa, di strumento pensato solo per arricchire le banche e utilizzando numeri del tutto distanti dalla realtà, non serve, anzi danneggia. Oggi assistiamo a parlamentari che aderiscono allo sciopero del pos: mi chiedo se hanno coscienza di quanto potenti siano i loro comportamenti verso chi il pos non intende usarlo non per motivi di costi, ma fiscali. E non mi si venga a raccontare che questi non esistono.