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Case farmaceutiche, vaccini e brevetti. La salute non è un privilegio

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In questo anno in cui il Mondo intero si è concentrato verso un unico sostanziale obiettivo, quello di combattere il virus, che ha messo in secondo piano qualsiasi altra priorità economica e sociale, è assurdo che la possibilità di bloccare la pandemia possa essere impedita dalla copertura brevettuale.

Dall’anno di grazia 2021 in poi il destino degli abitanti della Terra dipese dalle ditte farmaceutiche.

Questo scenario non è l’epilogo di un libro di fantascienza, ma la triste realtà che inizia a delinearsi a seguito degli sviluppi della pandemia da Covid-19.

Dalla prima dichiarazione dello stato di emergenza è stato un crescendo di disposizioni, di direttive, di fatti e di trasformazioni che hanno inciso in maniera profonda nel vissuto di tutti noi, nessuno escluso, e un senso di sospensione e nello stesso tempo di precarietà domina le nostre vite da molti mesi.

Anche ora che è iniziata la campagna vaccinale, le difficoltà di produzione in larga scala del vaccino, la complessità di un piano che dovrebbe interessare buona parte della popolazione terrestre, le continue modifiche del virus che lo rafforzano sempre di più, sembrano rendere senza fine questo incubo che ha totalmente modificato il nostro modo di vivere ed i nostri orizzonti esistenziali.

In tanta incertezza, dal rassicurante sito della Commissione Europea è però possibile apprendere:

  • che “ La Commissione e gli Stati membri hanno concordato un’azione comune a livello dell’UE” secondo “un approccio centralizzato in ambito europeo per garantire l’approvvigionamento e sostenere lo sviluppo di un vaccino”;
  • che ad oggi “nell’UE è stato autorizzato l’uso di 3 vaccini anti COVID-19 sicuri ed efficaci”: Pitzer, Moderna, Astrazenica;
  • che “nell’ambito della sua strategia sui vaccini la Commissione ha concluso accordi con singoli produttori di vaccini per conto dei paesi dell’UE. Una volta disponibili, dimostratisi sicuri ed efficaci e autorizzati a livello dell’UE, tutti gli Stati membri avranno accesso ai vaccini anti COVID-19 contemporaneamente e la distribuzione avverrà proporzionalmente alla popolazione per garantire un accesso equo”.
  • che gli obiettivi della strategia europea si possono riassumere in tre punti: 1)garantire il prima possibile a tutti i cittadini dell’UE un accesso equo a un vaccino sicuro, efficace, di qualità, dal costo abbordabile e prodotto in quantità sufficiente;”2) assicurare agli Stati membri e ai loro cittadini un accesso rapido al vaccino, guidando al contempo lo sforzo di solidarietà a livello globale; 3) stimolare i paesi dell’UE affinché si preparino all’introduzione di vaccini sicuri ed efficaci, predisponendo quanto necessario in materia di trasporto e mobilitazione e individuando i gruppi prioritari che dovrebbero avere accesso ai vaccini per primi.

Inoltre apprendiamo dalla negoziatrice per i vaccini dell’Ue, Sandra Gallina, in un’audizione alla commissione Bilanci dell’Eurocamera, che solo nel secondo trimestre arriveranno 300 milioni di dosi da aggiungere ai 100milioni del primo; che sarà perciò possibile immunizzare all’incirca 200 milioni di persone, già alla fine del secondo trimestre; che abbiamo già pagato 2,372 miliardi; che dei 750milioni aggiuntivi per il 2020-2021, abbiamo speso 333 milioni, e che restano 416 milioni che finanzieranno altri 2 vaccini.

Da questo resoconto tutto sembra chiaro, trasparente, lineare.

Ma quanto tempo ci vorrà per vaccinare gran parte della popolazione mondiale, visti i ritmi di produzione? Quali possibilità hanno i Paesi del terzo mondo di vaccinare i loro abitanti? E il mondo occidentale, seppure riuscirà a raggiungere l’immunità di gregge in tempi ragionevoli, non rientrerà di nuovo in emergenza in relazione alle altre mutazioni del virus che nel frattempo si saranno verificate in altre parti del mondo dove il Covid-19 continuerà per molto a circolare? Non si dovrà, quindi, ogni anno continuare con i richiami vaccinali per chissà quanto tempo? In tutto questo quanto incasseranno le ditte farmaceutiche?

Gli interrogativi sono tanti e di risposte ne abbiamo trovate poche.

Abbiamo però raccolto qualche sollecitazione a seguire un approccio diverso per affrontare una emergenza globale come questa.

Non è superfluo ricordare che sono secoli che l’umanità lotta contro le epidemie e che il riconoscimento della necessità di una cooperazione internazionale in questo settore è relativamente recente. Alla fine del secondo conflitto mondiale, con la creazione dell’OMS quale agenzia specializzata ONU nel campo della salute, si è affermato un sistema di governance internazionale della salute pubblica, con il potere dell’OMS di emanare regolamenti sanitari internazionali (IHR), che sono vincolanti per gli tutti gli Stati Membri. Con il secondo Regolamento Internazionale, adottato nel 2006 al fine di fronteggiare l’insorgenza di qualsiasi tipo di nuova emergenza di rilevanza internazionale, si è passati dalla tutela della salute nazionale alla tutela della salute globale.

Tuttavia, malgrado ciò, il diritto alla salute, nelle sue varie accezioni è ancora lungi dall’essere tutelato in ogni parte del mondo, soprattutto sotto il profilo dell’accesso ai farmaci.

Ci sono numerose norme, più o meno vincolanti, di diritto internazionale che riconoscono alla proprietà intellettuale la natura di diritto inalienabile della persona umana. Basti pensare all’art. 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’art. 15, paragrafo 1 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e all’art17, paragrafo 2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, adottata il 12 dicembre 2007. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea riconosce la proprietà intellettuale alla stregua di un diritto umano fondamentale.

Tuttavia il diritto di proprietà intellettuale, seppur riconosciuto, non può essere considerato in via sovraordinata rispetto al diritto alla salute e in base all’art.103 della Carta dell’ONU le disposizioni della Carta prevalgono sugli accordi internazionali dei membri ove ci sia contrasto.

Quindi, in teoria, il conflitto tra il diritto alla salute e la tutela della proprietà intellettuale sembra essere risolto con il riconoscimento della prevalenza del primo.

Per questo, quando nel 1994, con la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio(OMC) e delle Trips (Accordi sui diritti della proprietà intellettuale), si è compreso che sarebbe stato impossibile produrre un medicinale, o comprarlo all’estero senza autorizzazione (esborso in royalty fisse) del proprietario dell’invenzione, che conserva il privilegio per 20 anni, sono state previste alcune clausole di eccezione, per cui in caso di urgenza nazionale o quando il proprietario smette di produrre un medicinale per più di tre anni, qualunque governo può ricorrere alla “licenza obbligatoria”, e alle importazioni parallele.

Tuttavia, malgrado ciò, nella pratica abbiamo visto un’ allarmante mancata attuazione dei diritti dei più poveri e dei meno protetti, soprattutto per quel che riguarda il diritto alla salute nei Paesi in via di sviluppo. Basti ricordare quando le multinazionali del farmaco in piena diffusione dell’AIDS, insistevano nella difesa dei loro brevetti, lasciando senza trattamento, per il costo elevato, la grande maggioranza dei 22 milioni di malati di Aids dell’Africa del sud, il 65% delle persone sieropositive del mondo.           

E lo stesso accadrà con il vaccino antiCovid -19, ma con la differenza che un’ insufficiente immunizzazione globale consentirà alle varianti di circolare nuovamente in tutti i Paesi, creando una sorta di dipendenza globale dai vaccini e non consentendo l’eradicazione del virus.

L’industria farmaceutica è un settore estremamente oligopolizzato, dove alcune decine di imprese controllano l’80% del mercato mondiale dei farmaci che sono diventati l’industria legale con più rapida crescita e con il più alto profitto sulla Terra dall’inizio di questo millennio.

Anche la ricerca nel settore è concentrata in pochi paesi, nei quali si convoglia l’80% degli investimenti. Tuttavia la stragrande maggioranza dei nuovi farmaci è prodotta da ricerche finanziate dagli Stati o sovvenzionate e non risulta né che vi siano dei controlli affinché i profitti che rinvengono dalla vendita di tali farmaci sia reinvestita nella ricerca o in programmi umanitari né che i farmaci siano accessibili a tutti .

L’economista Marianna Mazzuccato in un articolo sul New York Times ricorda che “Dall’epidemia di SARS del 2003, gli Stati Uniti, attraverso il National Institutes of Health, hanno speso quasi 700 milioni di dollari in denaro dei contribuenti per la ricerca sul coronavirus, più di qualsiasi altro Paese. Il National Institutes of Health versa ogni anno 40 miliardi di dollari nell’innovazione sanitaria. Finanziamenti che hanno contribuito a ciascuno dei 210 nuovi farmaci approvati dalla Federal Drug Administration dal 2010 al 2016. Come leader mondiale nel finanziamento pubblico della ricerca biomedica, il governo degli Stati Uniti ha l’opportunità di stabilire un precedente per garantire che i farmaci sviluppati con finanziamenti pubblici siano disponibili ed economicamente accessibili al pubblico… ».

Insomma questa crisi dovrebbe finalmente far comprendere come sia necessario che gli Stati, attraverso l’OMS, governino il processo di innovazione del comparto farmaceutico, che agiscano come un regolatore del mercato, indirizzando l’innovazione, ottenendo prezzi equi, garantendo che i brevetti e la concorrenza funzionino in modo corretto, stabilendo le condizioni per il reinvestimento e salvaguardando l’offerta di medicinali.

Si potrà così assicurare che i Programmi d’immunizzazione di massa siano condotti liberamente in tutti i paesi della terra – sradicando malattie come l’Ebola, proprio come è stato fatto con il vaiolo. Le crisi ambientali e le tecniche di allevamento intensivo che creano aree di riproduzione per agenti patogeni dovrebbero essere sostituite con una produzione pianificata in armonia con la natura, che privilegia il benessere umano e animale rispetto ai profitti. Ogni nuova epidemia virale potrebbe essere affrontata con una risposta globale e concertata per impedire che raggiunga livelli di pandemia.

Medici senza frontiere (MSF) ha richiesto una rapida espansione dell’offerta complessiva globale, quindi che ci siano più vaccini in circolazione e le dosi possano essere assegnate in base ai criteri di salute pubblica dell’OMS, non alla capacità di pagare di un paese. Questo obiettivo si può ottenere attraverso la condivisione dei dati sui vaccini in modo che quante più aziende possibile possano produrli. Non si tratterebbe di “espropriare” o nazionalizzare nulla ma di trovare le giuste soluzioni e i giusti accordi per “liberalizzare” obbligatoriamente la produzione e l’Europa potrebbe svolgere un ruolo guida nel cercare di superare gli ostacoli da parte delle aziende titolari dei brevetti e le difficoltà a garantire una produzione straordinaria di vaccini necessaria a “sradicare dalla Terra” la pandemia .

In questo anno in cui il Mondo intero si è concentrato verso un unico sostanziale obiettivo, quello di combattere il virus, che ha messo in secondo piano qualsiasi altra priorità economica e sociale, è assurdo che la possibilità di bloccare la pandemia possa essere impedita dalla copertura brevettuale.

Ed è quello che ha chiesto il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus annunciando nel maggio dell’anno scorso la creazione del Medicines Patent Pool al COVID-19 dell’OMS, ed invitando aziende o governi che sviluppano un trattamento terapeutico efficace a fornire il brevetto a questa struttura , che poi lo concederebbe in licenza ai produttori di generici.

Ma non dovrebbe essere un semplice invito, ma un obbligo.

L’epidemia da Covid-19 così potrebbe diventare una straordinaria opportunità per tutti gli abitanti della Terra di “costruire un mondo più giusto, un mondo in cui la salute non è un privilegio per pochi, ma un bene comune e gli strumenti per prevenire, rilevare e trattare Covid-19 ( e altri mali globali aggiungo io ) sono beni pubblici globali che devono essere accessibili a tutti.”

Questo approccio consentirebbe di aprire la strada per avviare un processo di ripensamento delle relazioni internazionali, non solo per il controllo delle malattie infettive ma per altre sicurezze fondamentali come la pace, la tutela dell’ambiente, la stabilità finanziaria che non possono più essere garantite per tutti a livello dei singoli Stati nazione, perché questi sono stati ormai erosi nelle loro funzioni vitali dal processo di globalizzazione.

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