Riportiamo di seguito l’intervento di Carlo Freccero, consigliere d’amministrazione Rai oltre che autore televisivo ed esperto di comunicazione, al convegno ‘Autori e Format’, organizzato da ANART (Associazione Nazionale Autori Radiotelevisivi) e Premio Ideona, che si è tenuto al Museo Teatrale SIAE del Burcardo a Roma.
Un autore può cimentarsi direttamente con la fiction. Ed allora è tutto un altro discorso.
Tutti gli altri hanno, grosso modo, due compiti, scrivere testi e dialoghi per le star, oppure ideare in toto un programma producendo un nuovo format o adattando e ibridando format già esistenti sul mercato. Io ho provato anche ad interrogarmi su cosa faccia di un programma un successo e ho stilato una serie di punti e regole. Dovendo farlo oggi in questo convegno “Autori e Format” inserirei un elemento ulteriore: lo storytelling. Per cui vediamo che la narrazione, tipica della fiction, uscita dalla porta, rientra dalla finestra. E’ destino quindi degli autori confrontarsi con la narrazione, diventare narratori anche quando studiano programmi che, apparentemente hanno a che fare con altri generi: i game, i talent, i talk.
Penso allo storytelling come ad una specie di super genere che ha colonizzato da tempo tutti i generi televisivi.
Ma cosa intendo per storytelling?
Se parliamo di narrativa, lo storytelling è l’atto stesso del narrare utilizzando le regole della retorica e della narratologia.
Se usciamo dal suo campo specifico lo storytelling diventa una tecnica per promuovere prodotti, idee, tesi politiche. L’uso del termine in questa chiave esplode con il libro di Christian Salmon “Storytelling. La fabbrica delle storie“. Salmon si rende conto di un cambiamento che attraversa ormai tutta la comunicazione ed il marketing. Per cominciare, per coinvolgere emotivamente un potenziale cliente o elettore, non devo parlare alla sua ragione, ma coinvolgerlo affettivamente, toccando le corde dei suoi sentimenti. E’ un percorso che la pubblicità ha iniziato da tempo, abbandonando la descrizione, anche in chiave elogiativa del prodotto, per rivolgersi solamente all’interlocutore virtuale, suggerendo stili di vita.
Non ti sto proponendo un puro e semplice oggetto, per quanto utile e funzionale.
Ti propongo qualcosa che interpreta il tuo stile di vita, perché tu vali.
Questo stesso marketing è stato applicato alla politica, a partire da una vera e propria rivoluzione. Durante le ultime campagne elettorali americane i potenziali elettori non venivano più contattati in base alla loro professione di fede democratica o repubblicana, ma in base a stili di vita che rispondono con più oggettività alle loro vere tendenze. Gli oggetti, le nostre scelte economiche, raccontano una storia, ma, reciprocamente raccontare storie fa vendere prodotti, cattura intenzioni di voto. Quanto parlare al cuore, all’immaginazione anziché alla nostra mente razionale, coincide con l’uscita dalla modernità, e con l’affermazione del mito dell’intelligenza emotiva; se ci riflettiamo, anche con l’affermazione liberistica che solo l’individuo è una realtà oggettiva.
Per indagare un soggetto collettivo, come una classe, ci vuole una scienza come la sociologia, per parlare all’interiorità dell’individuo, bisogna toccare le corde dell’emotività e dell’immaginazione.
Oggi l’interesse per il privato prevale sulle grandi narrazioni. Dopo la strage di Parigi, gli stessi telegiornali, accanto all’analisi delle cause e alla ricostruzione degli eventi, hanno dato grande spazio all’emotività, sia alla storia pregressa delle vittime, che agli eventi della loro morte, per arrivare ai sentimenti dei sopravvissuti e all’emozione collettiva di condividere l’evento più emotivamente che razionalmente.
Lo storytelling è dunque un’arma per vendere o per persuadere parlando direttamente non alla ragione, ma ai sentimenti del potenziale interlocutore.
Ma che cosa serve in televisione? Cosa può venderci?
Ci vende la trasmissione stessa, rende meno asettico e più coinvolgente qualsiasi genere, dal talent, al talk, al game. Vi dirò di più. Lo storytelling, lo svelamento della storia individuale è sempre più il centro di tutti i generi di trasmissioni, che si stanno progressivamente trasformando per accedere al privato dei protagonisti. E se prendo la mappa dei generi e sottogeneri, alla base di tutti questi possiamo ipotizzare la presenza di un mega genere che li comprende tutti, lo story telling.
Prendiamo per caso un programma, “C’è posta per te” noi possiamo cogliere in diretta un’emozione che si manifesta sotto i nostri occhi. Tutti sappiamo che c’è simulazione, che le storie sono “pettinate” per renderle più emozionanti, ma, a differenza della fiction che si cattura per immersione in un universo estraneo, nel reality scatta una immedesimazione dovuta all’illusione del reale.
Mia mamma leggeva un femminile che si chiamava “Confidenze” c’erano novelle scritte in terza persona. Poi c’erano le storie scritte in prima persona come un diario. Era evidente la funzione di entrambe, ma le novelle parlavano di personaggi importanti, nobili e ricchi. Le storie vere premevano il tasto della immedesimazione presentando scenari modesti e personaggi quotidiani e, per questo più credibili. Lo stesso vale per il reality, dove a vincere non è il migliore, ma chi suscita più empatia, e per i talent, dove l’abilità oggettiva è solo un pretesto per raccontare storie di vita passata o costruire storie romantiche in diretta, sotto gli occhi delle telecamere. E lo stesso vale per i talk che si avvicinano sempre di più al privato, mentre i talk politici conoscono un declino. Lo stesso vale da tempo anche per l’informazione, a cui si è affiancato il gossip trasformandosi in infotainment, proprio per sfruttare la magia della narrazione interiorizzata. E dopo aver colonizzato tutti i generi di programmi, lo storytelling si sta creando un genere proprio, un genere di narrativa non fiction ma REAL. Oggi è possibile costruire storie credibili di gente normale, di vite.
Riporto una citazione di Ryan Stradal, autore di reality, che dice “…per produrre una singola ora di reality tv servono centinaia di ore di riprese e alla fine il montaggio definitivo è molto simile nella sua struttura narrativa alla tv di finzione…”