Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Canada e Regno Unito non mollano il carbone
Siamo sempre al punto di partenza: per avviare una transizione energetica verso fonti più pulite e a basso impatto ambientale servono scelte concrete e lungimiranti, che abbiano la forza di rompere con il passato. E’ il caso del carbone.
Purtroppo per noi, l’energia sporca continua ad attrarre enormi volumi di investimenti. Da gennaio 2019 a novembre 2021 il sistema bancario ha incanalato 1,5 trilioni di dollari nell’industria del carbone.
Secondo un nuovo studio pubblicato da Urgewald, Reclaim Finance e numerose altre organizzazioni non governative, l’80% delle risorse arriva da istituzioni finanziarie di Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Canada e Regno Unito.
Un pugno di banche tiene in ostaggio la transizione energetica
Un esiguo numero di gruppi bancari che tiene in ostaggio la transizione energetica dei maggiori Paesi al mondo, sia in termini economici, sia di popolazione totale.
Il carbone, lo ricordiamo, è il combustibile fossile a più alta intensità di carbonio, le sue emissioni inquinanti sono tra le più climalteranti. Per questo si chiede da più parti il suo abbandono a favore delle fonti energetiche rinnovabili e dell’idrogeno.
Stando alla Global Coal Exit List di Urgewald, il 90% della produzione mondiale di carbone è nelle mani di 1.032 società.
Il 48% dei prestiti è stato erogato da sole 12 banche. Altre 376 realtà finanziarie hanno investito nell’industria del carbone 363 miliardi di dollari nel periodo considerato dallo studio.
I ricercatori hanno inoltre individuato quasi 5.000 investitori istituzionali con partecipazioni per circa 1,2 trilioni di dollari in questa industria.