Riproponiamo di seguito integralmente l’intervista rilasciata in esclusiva a Key4biz, lo scorso 25 agosto dal Sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, Responsabile del Dipartimento media e Tlc di FdI, con tutti i dettagli del progetto di rete unica del partito di Giorgia Meloni (Progetto Minerva).
Un Piano alternativo per ricacciare indietro lo straniero? No, per il responsabile del Dipartimento Media e TLC di Fratelli d’Italia è semmai vero il contrario: “È ora di finirla con certe ipocrisie ideologiche ed è il momento inderogabile di pensare agli interessi industriali del Paese, che per troppo tempo sono stati trascurati dai precedenti governi”.
Le estati sono sempre state “molto calde” nel nostro Paese. Non a caso, i più importanti dossier economici sono stati quasi sempre decisi nel mese di agosto, quando gli italiani sono sotto l’ombrellone. Anche questa estate si sta dimostrando particolarmente rovente per le telecomunicazioni italiane, in attesa che, con il nuovo governo che uscirà dalle urne il prossimo 25 settembre, si sciolgano definitivamente i nodi della “rete unica” e siano chiariti una volta per tutte i destini di TIM ed Open Fiber. Per cercare di capire cosa potrà succedere e quali scenari aspettarci, abbiamo intervistato in esclusiva e a tutto campo l’on. Alessio Butti, responsabile del Dipartimento media e Tlc di Fratelli d’Italia ed esperto del settore, che approfondisce quanto detto da Giorgia Meloni questa mattina a Reuters.
Key4biz. Onorevole Butti in queste settimane se ne sono dette tante sul tema, ci può chiarire qual è la posizione del suo partito sulla rete unica e quale ruolo dovrebbero avere TIM ed Open Fiber?
Alessio Butti. Nulla di nuovo sotto il sole. La nostra posizione è sempre stata chiara e coerente ed è stata recentemente ribadita dalla Presidente del nostro partito, Giorgia Meloni. Sconcerta, francamente, la falsa esegesi di qualche giornalista, evidentemente disinformato o in malafede. Noi vogliamo semplicemente che l’Italia torni ad essere un protagonista europeo nelle telecomunicazioni, come lo sono la Francia e la Germania, dove gli incumbent sono ancora sotto il controllo dei rispettivi governi.
Key4biz. Come declinare questo obiettivo strategico con la “rete unica”?
Alessio Butti. Quello che abbiamo sempre detto è che vogliamo che la nuova rete in fibra, fino alle case, sia una rete unica, nazionale, a controllo pubblico (quindi italiana) e wholesale only. Sin dall’inizio abbiamo sostenuto questo modello che separa la rete dai servizi e che ha tanti e importanti precedenti nel nostro Paese, basti pensare a Terna che serve le società operanti nel mercato elettrico, ma anche a RFI che offre l’infrastruttura a Trenitalia e Italo. Per tornare a noi, non è pensabile che l’incumbent nazionale della rete fissa sia presente anche nel mercato retail, soprattutto in un mercato delle telecomunicazioni come quello italiano dove, al contrario del resto d’Europa, non è mai esistito il cavo (che avrebbe cambiato la dinamica competitiva, come è peraltro accaduto nel resto d’Europa). Ma vorrei aggiungere anche un aspetto tutt’altro che secondario. FdI è l’unico partito ad aver presentato e sostenuto una serie di proposte di politica industriale sulla rete, sul cloud e sul 5G. E Giorgia Meloni è l’unica leader di partito ad essersi occupata in modo dettagliato di una partita di così straordinaria importanza per la trasformazione digitale del Paese, su cui gli altri partiti sono rimasti in silenzio per lunghi mesi, una partita tuttora aperta per la quale sono previsti oltre 40 miliardi di investimenti.
Key4biz. Anche il governo parla di rete unica. E allora cosa è cambiato e come mai avete deciso di preparare un Piano alternativo?
Alessio Butti. Quello che è cambiato è il contesto generale e in particolare la strada da percorrere per ottenere questo risultato. Il nostro progetto non è altro che la logica conseguenza delle proposte avanzate e discusse in Parlamento. Sia chiaro non vogliamo entrare nelle dinamiche di investimento di società operanti in Borsa, ma alla politica spetta il compito e, aggiungerei anche il dovere, di indicare le strade dello sviluppo di un settore così cruciale per la crescita economica. La nostra direttrice è chiara, ma sarà Giorgia Meloni a decidere se, come e quando presentare il nostro Progetto. È comunque del tutto evidente che la nostra proposta di “rete unica” è differente in modo radicale da quella proposta da CDP–TIM, nonostante quel che si legge superficialmente in giro.
Key4biz. Partiamo allora dal contesto generale…
Alessio Butti. Una delle mutate condizioni risiede nel fallimento della gestione di Open Fiber. È una azienda a cui anche il mercato aveva dato molto credito, un gioiello del nostro Paese, che tutta l’Europa ci invidiava, grazie appunto al modello wholesale only poi introdotto nel nuovo Codice delle comunicazioni europee. Purtroppo, con la nuova gestione CDP di Open Fiber molte cose sono cambiate nella strategia aziendale. I manager migliori sono scappati o stanno lasciando l’azienda. E come se non bastasse, solo alcuni mesi fa, nel dicembre del 2021 il nuovo management alla guida dell’azienda, tutto targato CDP, aveva elaborato un nuovo piano che è stato però già disatteso. Open Fiber purtroppo, e lo dico con sincero rammarico, non ha più la credibilità né la capacità di essere il perno dell’operazione “rete unica”, cosi come pensata sino ad oggi da CDP. Mi lasci anche dire che il management deve essere scelto sulla base delle competenze manageriali e non dell’appartenenza politica. Ecco perché occorre una svolta in grado di sostenere un progetto industriale di alta rilevanza.
Key4biz. Allora entriamo nei dettagli, perché TIM dovrebbe mantenere la rete, come sostenete voi in contrasto con il piano CDP-TIM?
Alessio Butti. Questo è il secondo motivo che ci ha indotto ad elaborare la nostra proposta alternativa. Siamo convinti che TIM non possa e non debba perdere la rete. Non esiste al mondo alcun operatore di telecomunicazioni senza la rete. Sarebbe come avere un ristorante senza la cucina. La rete non va separata, deve rimanere invece in capo a TIM e deve essere semmai TIM ad aggregare sotto di sé la rete di Open Fiber. Sono i servizi a dover essere dismessi. E siamo così convinti di questa scelta, al punto da aspettarci una impennata del titolo in Borsa nei mesi successivi, perché è questo che cercano gli investitori internazionali: modelli di business convincenti, piani di sviluppo sostenibili, aderenza piena alle norme europee, benevolenza dei governi,
Key4biz. Ci spieghi meglio…
Alessio Butti. La motivazione è evidente, senza la rete e solo con la società di servizi, difficilmente TIM potrebbe stare in piedi. Tra l’altro, da qui a pochi mesi ci ritroveremo sicuramente con la perdita di altre migliaia di posti di lavoro, oltre ai 3.400 già annunciati, tra uscite volontarie e prepensionamenti. Parliamo quindi di conseguenze sociali pesantissime che non possiamo permetterci. Lasciare invece la rete in capo a TIM è quindi anche la migliore garanzia per la difesa occupazionale. Tutti gli addetti ai lavori sanno perfettamente che è la rete che garantisce il cash flow dell’azienda e che assicura i margini più alti.
Key4biz. Poi c’è il problema da un lato di Vivendi, che oggi è il socio di riferimento di TIM, e dall’altro di Macquarie e KKR, rispettivamente in Open Fiber e Fibercop…
Alessio Butti. Le assurde pretese di Vivendi che valuta addirittura 31/34 miliardi di euro la vecchia rete in rame di TIM rendono di fatto il piano CDP-TIM-OPEN FIBER irrealizzabile. Sarebbe impossibile giustificare il fatto che CDP debba pagare una cifra così spropositata per una rete che sarà dismessa entro il 2026, data in cui il governo italiano, per bocca del ministro Vittorio Colao, si è impegnato con l’Europa a coprire l’intero territorio italiano con la fibra fino alle case ed agli uffici. Nascerebbe quindi inevitabilmente un contenzioso ed una lunga discussione sul valore della rete, oltre alle problematiche tecniche per le difficoltà ed i tempi che può comportare lo scorporo di una rete. Quindi ripeto, chi e come potrebbe mai giustificare un esborso di tale natura da parte di CDP? Al Meeting di Rimini Arnaud De Puyfontaine, AD di Vivendi, ha sottolineato l’importanza della rete unica, invitando tutti a muoversi perché si faccia, senza preoccuparsi di chi sarà la proprietà, se pubblica o privata. Facciamo fatica a comprendere tale approccio, tanto più se dietro a queste affermazioni si sviluppa parallelamente una trattativa sulla cessione della rete di TIM a CDP, con, da una parte, i 31-34 miliardi di euro richiesti da Vivendi e, dall’altra, i 21-25 miliardi oltre cui CDP non vorrebbe andare.
Key4biz. E se l’offerta si basasse su un importo inferiore?
Alessio Butti. Ma, anche se fossero “solo” 15 miliardi di euro, sarebbero sicuramente troppi. Non capisco francamente come CDP e Macquarie possano, in questa situazione, presentare una offerta seppure non-binding a questi valori. Credo che sarebbe meglio aspettare, anche per un rispetto istituzionale, il risultato delle elezioni ed il nuovo governo che si insedierà dopo il 25 settembre. Ma questo, come si sa, dipende dalle sensibilità istituzionali delle parti in causa. Non a caso, una prudenza del genere vale anche per ITA, un altro dossier importante su cui come dichiarato da Giorgia Meloni sarebbe meglio aspettare prima di prendere qualsiasi decisione “…visto che il governo è dimissionario e può occuparsi solo degli affari correnti…dal 25 settembre in poi tutto potrà cambiare e al rilancio della nostra compagnia aerea di bandiera penserà chi governerà…”.
Key4biz. Entriamo più in dettaglio. Quali sono i punti principali del Piano che state preparando?
Alessio Butti. Partiamo innanzitutto dal punto fondamentale: se TIM mantenesse il controllo della rete, ma con maggioranza pubblica di CDP, l’azienda tornerebbe ad essere un asset industriale italiano (come Enel o come ENI o Leonardo). A noi interessa che la nuova TIM possa ripartire con basi più solide e profittevoli rispetto a quelle attuali e crei valore per tutti: per gli azionisti grandi e piccoli, per i lavoratori, per il Paese.
Key4biz. Qualcuno vi accusa di essere ostili verso gli investitori esteri?
Alessio Butti. Ma ci mancherebbe. Nessuna preclusione a nessuno. Se Macquarie, che attualmente ha il 40% di Open Fiber, o KKR, che attualmente ha il 38% di Fibercop volessero entrare nella nuova società della rete, da parte nostra non potremmo che esserne lieti. Altrettanto se Vivendi stessa mantenesse la sua presenza nella compagine azionaria di TIM, come azionista di minoranza. E perché mai dovremmo essere contrari? Sarebbe un ottimo investimento anche per loro, perché siamo convinti che la nuova TIM che immaginiamo potrebbe, grazie alla focalizzazione sulla rete, valorizzarsi in maniera importante rispetto ai valori attuali e questo, da quanto ci risulta, gli analisti finanziari lo sanno molto bene.
Key4biz. Quindi non volete ricacciare indietro gli investitori stranieri…
Alessio Butti. Ho letto su questo argomento sciocchezze gravide di pregiudizi e generate dalla “non conoscenza” del nostro lavoro. Voglio ripeterlo in modo cristallino: non solo non abbiamo nulla in contrario, ma riteniamo che gli investitori stranieri possano e debbano guadagnare da operazioni di mercato in Italia, anzi ne siamo felici, perché questo rende la nostra economia più credibile ed aperta per investitori di tutto il mondo. È semmai l’attuale piano CDP-TIM che sembra invece voler essere un palese e ingiustificato regalo al solo azionista francese, dettato da ragioni che non comprendiamo e che minano quindi la serietà e la credibilità dell’economia del nostro Paese. Su questo punto registro, francamente, un clamoroso silenzio della stampa.
Key4biz. Può indicarci altri punti del vostro Piano?
Alessio Butti. Se mi consente preferisco non entrare in alcuni dettagli e fermarmi a quanto, in vario modo, è stato riportato dalla stampa in questi giorni. Ma uno dei punti che stiamo ancora elaborando in ogni dettaglio, riguardano la vendita di tutti i clienti fissi e mobili. Con il ricavato, TIM potrebbe abbattere il suo debito ed al tempo stesso si qualificherebbe come operatore wholesale only, una condizione che gli consentirà di avvantaggiarsi delle più favorevoli condizioni regolatorie che il nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni riconosce agli operatori wholesale only, garantendo nel contempo maggiori certezze e maggiori ritorni economici agli investitori. La Commissione europea ha riconosciuto infatti che solo questo modello può garantire maggiore concorrenza, venendo meno il conflitto di interesse di un incumbent storico che è presente contemporaneamente nei due mercati, quello all’ingrosso e quello retail, e per questo motivo riconosce agli operatori wholesale only un trattamento regolamentare più favorevole. Qui non c’è nulla di ideologico. È solo buon senso, sorretto naturalmente dai riferimenti normativi europei. Peraltro, vorrei sottolinearlo, ci stiamo confrontando in modo serrato con i decisori europei.
Key4biz. Con quale perimetro territoriale delle operazioni?
Alessio Butti. Riteniamo che TIM debba concentrare la sua presenza ed i suoi investimenti in Italia ed in Europa o nel bacino del Mediterraneo, ma comunque in aree sinergiche e non in aree ed economie attualmente completamente scollegate da quella italiana.
Key4biz. E TIM Brasil?
Alessio Butti. Siamo pienamente convinti che TIM debba vendere TIM Brasil. Perché? Semplicemente perché non è in grado di garantire gli investimenti necessari a TIM Brasil, un operatore mobile che deve anche investire pesantemente nel 5G. E se pensiamo alla infrastruttura necessaria, va ricordato che il Brasile ha una estensione territoriale pari a quella dell’intera Europa. Con la vendita della propria quota in TIM Brasil, è il caso di sottolinearlo, TIM potrebbe ridurre ulteriormente in maniera significativa il debito dell’azienda. Anche qui nulla di ideologico, solo oculata strategia industriale e ci fa piacere constatare come altre forze politiche siano giunte alle nostre stesse conclusioni sul futuro di TIM Brasil.
Key4biz. E cosa succederebbe ad Open Fiber?
Alessio Butti. TIM dovrebbe acquisire la rete di Open Fiber ed assorbirla nella propria. La ragione è molto semplice: riteniamo che Open Fiber non sia nelle condizioni di poter svolgere il ruolo di pivot dell’operazione “rete unica”. Ma il problema è semmai un altro. Dobbiamo garantire, al tempo stesso, che rimanga il livello minimo di concorrenza che attualmente c’è nel fisso, per evitare che l’Unione Europea obietti legittimamente il rischio di ri-monopolizzazione del fisso. TIM dovrebbe quindi vendere la rete FTTH“ridondante” nelle Aree nere ad un altro operatore già presente sul mercato o un nuovo entrante, in modo da mantenere la concorrenza infrastrutturale nelle Aree commerciali del Paese e nei distretti industriali. Anche queste sono cose che abbiamo ripetuto fino alla noia e che ora vengono finalmente rivalutate da tutti.
Key4biz. Quanto è importante per voi assicurare la competizione?
Alessio Butti. Come ho appena detto, per noi è molto importante preservare un adeguato livello di concorrenza nel nostro Paese, soprattutto nel fisso, a vantaggio dei consumatori e delle imprese italiane, che devono poter continuare a beneficiare di maggiore scelta e di prezzi competitivi, ma anche a vantaggio delle centinaia di provider italiani che rappresentano oggi una ricchezza per l’Italia e che in questo modo potranno continuare a competere su basi più eque. Tutto ciò fungerà anche da stimolo alla nuova TIM, perché continui a cablare in fibra, sollecitando e facilitando la migrazione di nuovi clienti. Un requisito, questo, indispensabile per evitare che accada ciò che accade oggi, ovvero che si continuino a mantenere le rendite di posizione sul rame (e del suo mondo antico) a scapito della competitività del Paese.
Key4biz. E quale sarebbe l’impatto per il settore mobile?
Alessio Butti. Abbiamo un’occasione unica per consolidare il mercato del mobile in Italia e passare così da 4 a 3 operatori. Sono anni che gli operatori mobili si lamentano per via delle difficoltà del mercato italiano. I clienti mobili di TIM potrebbero essere acquisiti dai competitor attuali, Vodafone, WindTre e Iliad. In alternativa, nel caso in cui essi non fossero interessati, allora potrebbero anche entrare nuovi soggetti nella partita. Ma queste sono valutazioni commerciali che attengono alle scelte strategiche e commerciali delle singole aziende e non alla valutazione di governo o di forze politiche che indicano percorsi o direttrici di sviluppo del settore.
Key4biz. Cosa risponde all’accusa secondo cui FdI vuole rinazionalizzare la rete di TIM?
Alessio Butti. Malafede allo stato puro. Perché, mi scusi, il progetto di CDP-TIM che prevede la vendita della rete di TIM a CDP a suon di miliardi cosa sarebbe? Non sarebbe, questa sì, una ri-nazionalizzazione della rete? E quale sarebbe l’alternativa sul tavolo? E non trova che sia corretto che i fondi pubblici del PNRR (il governo italiano ha stanziato oltre 5,5 miliardi di euro per le nuove reti in fibra e 5G) vengano utilizzati da una azienda italiana per il bene dei cittadini italiani? Del resto ricordo che i soldi del PNRR sono pur sempre pubblici. O con i soldi pubblici italiani vogliamo far crescere il PIL degli altri?
Key4biz. Qualcuno ha detto che nel caso in cui andaste al governo, l’esecuzione del vostro Piano sarebbe una ingerenza del governo sul mercato. Cosa risponde?
Alessio Butti. È tutto così ridicolo…Non è stato sempre così? Ma perché per il piano attuale di “rete unica”, quello CDP-TIM, per intenderci, non è stato il governo a dare precise indicazioni a Cassa Depositi e Prestiti, per stessa ammissione dell’amministratore delegato di TIM durante la call con gli analisti finanziari? E cosa mi dice della precedente acquisizione di Open Fiber, non è stata una precisa decisione dell’allora governo Renzi? E della quota del 10% di CDP in TIM, non deriva da tre distinte acquisizioni ordinate dai governi dell’epoca? E cosa vogliamo dire di altre operazioni, come ad esempio Autostrade, dove i Benetton non hanno fatto un passo indietro per indicazione divina? Anche se in quel caso è forse accaduto “per grazia ricevuta”. È ora di finirla con certe ipocrisie ideologiche ed è il momento inderogabile di pensare agli interessi industriali del Paese. Naturalmente ci sono delle regole che si dovranno seguire e anche CDPdovrà farlo, in totale autonomia. Ora più che mai. Da canto nostro, noi siamo pronti ad assumerci tutte le nostre responsabilità di fronte ai mercati internazionali, ai lavoratori del settore, ai consumatori, al Paese.