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Buste di plastica, funziona il divieto in 100 Paesi del mondo. Ancora alto il consumo tra nordeuropei e baltici

100 Paesi al mondo hanno detto no alle buste di plastica

Le buste di plastica sono state forse il primo obiettivo delle politiche ambientaliste di tutto il pianeta. Inquinano, uccidono la fauna e soffocano la flora di ogni ambiente, da quello terrestre a quello marino. Non si degradano, se abbandonate in strada o conferite in discarica, e deturpano profondamente il paesaggio.

Rispetto ad alcuni anni fa, quando il problema era davvero rilevante, oggi, a livello globale, i divieti di utilizzo e le sanzioni previste sembrano aver avuto effetti positivi sui comportamenti dei consumatori.

Sono 100 i Paesi di tutto il mondo ad aver intrapreso questa strada, imponendo un divieto assoluto o parziale alla vendita di sacchetti di plastica monouso e negli ultimi dieci anni le politiche pubbliche di contrasto a questi prodotti altamente inquinanti è più che triplicato a livello mondiale.

Il Bangladesh è stata la prima nazione a vietare le buste di plastica tradizionali ben 21 anni fa. In Kenya, dove la plastica è un problema ambientale enorme e spesso le buste e gli imballaggi lasciati in giro danneggiano gravemente le infrastrutture del Paese, favorendo le inondazioni e il malfunzionamento di dispositivi critici, produrle e consumarle comporta sanzioni penali (fino a 4 anni di carcere) e amministrative (fino a 36 mila euro).

Quante se ne usano ancora in Europa?

In Europa, quasi tutti i Paesi membri dell’Unione hanno imposto divieti di produzione ed utilizzo, come in Francia, Germania, Islanda, Albania e Italia, ma tra gli scandinavi e i baltici ci sono dei distinguo.

Ad esempio, la Norvegia consente all’industria della plastica di imporre una ‘tassa volontaria’ sull’utilizzo di questi prodotti, mentre in Lettonia e Lituania si registrano ancora utilizzi record di buste (peraltro finora gratuite al supermercato), rispettivamente 284 e 332 a persona all’anno. Dal 2025 in Lettonia le buste di plastica si pagheranno e dal 2023 anche in Lituania. Vedremo se queste misure avranno degli effetti disincentivanti sui consumatori.

L’utilizzo più basso si trova in Portogallo (in media 8 a persona all’anno), Belgio (17) e Polonia (23). Il Portogallo ha vietato le borse nel 2021, da quest’anno lo farà la Polonia.

L’Italia è stato il primo paese dell’Unione Europea a mettere al bando i sacchetti di plastica con una legge innovativa approvata nel 2006 ed entrata in vigore cinque anni dopo (il divieto è scattato il 1° gennaio 2011).

Multe e divieti funzionano?

A quanto pare sì. Secondo euronews.com, il divieto ha consentito di ridurne il consumo del 71,5% in California, del 66% in Danimarca, di oltre il 90% in Irlanda e tra il 74% ed il 90% in Sudafrica, Belgio, Hong Kong, Regno Unito, Portogallo, Washington DC e Santa Barbara negli USA, di circa il 50% in Cina, e Botswana.

Sulle spiagge del New Jersey negli Stati Uniti si è registrato il 37% in meno di sacchetti sparsi sulla spiaggia rispetto al 2021. Un terzo in meno anche di rifiuti di plastica monouso come bicchieri, posate e cannucce.

Ben viste anche le politiche sanzionatorie dalla popolazione, come in Irlanda dove il provvedimento di messa al bando introdotto anni fa è ancora molto popolare tra i cittadini, che fin dall’inizio l’hanno considerato molto utile e vantaggioso per la comunità.

Il problema delle buste di plastica illegali in Italia

Nel nostro Paese il consumo di buste di plastica è crollato significativamente nel tempo, passando dalle 200 mila tonnellate circa del 2007 (l’equivalente di circa 30 miliardi di sacchetti) alle 76 mila del 2021, secondo dati di Plastic Consult.

Il problema, stando alla relazione finale della Commissione sulle ecomafie, è che ogni cinque sacchetti in circolazione, almeno uno è in plastica fossile, non biodegradabile e compostabile, quindi non conforme alla normativa.

Da quando è entrata in vigore la legge che vieta le buste di plastica-shopper non biodegradabili si è dovuto fare i conti con la produzione illegale degli stessi. Questo fenomeno – ha spiegato Stefano Vignaroli, presidente della Commissione Ecomafie – oltre a permettere guadagni illeciti, è sfruttato dalla criminalità organizzata per il controllo del territorio sotto forma anche di pizzo”.

Ancora nel 2018, si è stimato un quantitativo di shopper non a norma in circolazione pari a quasi 35.000 tonnellate, ossia 4 su 10.

Un business questo delle ecomafie che non sarà facile da smantellare, anche perché produrre buste di plastica a partire da materia prima vergine, purtroppo, è ancora meno costoso che produrle a partire da plastica riciclata.

Il mercato delle buste fossili

Il rapporto Ecomafia 2019 di Legambiente riporta i risultati del lavoro di contrasto all’illegalità svolto dall’Agenzia delle dogane, in collaborazione con Guardia di finanza e Carabinieri. Tra gennaio 2018 e maggio 2019, sono state sequestrate al porto di La Spezia oltre 6 milioni di sacchetti di plastica illegali.

Un altro milione di sacchetti è stato sequestrato in uscita dal porto di Genova. Altre 15 tonnellate sono state sequestrate al porto di Palermo, 18 tonnellate al porto di Trieste.

A questi numeri si aggiungono quelli di altre operazioni effettuate fuori dalle aree portuali. Il nucleo antiabusivismo della polizia locale di Milano, per esempio, a fine agosto 2018 ha sequestrato 5 milioni di sacchetti fuori legge.

Il Comando unità forestali ambientali e agroalimentari dei Carabinieri nel 2018, con l’operazione “30 days at sea”, ha sequestrato in totale 28 tonnellate di sacchetti, elevando sanzioni amministrative per circa 455mila euro.

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