Prepararsi alla Brexit non è un percorso solo istituzionale, perché non riguarda solo Governi, agenzie governative e amministrazioni pubbliche europee, ma molti altri soggetti, dai semplici cittadini alle aziende e le industrie. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è materia complessa, perché le voci interessate sono numerosissime e per questo Bruxelles, in accordo con i Paesi membri, ha diffuso un piano di coordinamento unitario e collettivo, proprio per affrontare una possibile uscita della Gran Bretagna senza accordo.
A seguito della scelta dei cittadini britannici di portare a termine la Brexit, a partire dal 29 marzo 2019, come conseguenza dell’applicazione dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, tutta una serie di accordi e memorandum prima in piedi finiranno per cessare.
Il Consiglio europeo, però, nella riunione del 21 e 22 marzo, ha concesso una proroga al Regno unito per il rinvio della Brexit, fino al 22 maggio 2019. I leader hanno deciso in tal senso prendendo atto della lettera del 20 marzo 2019, in cui la prima ministra Theresa May chiede di rinviare al 30 giugno 2019 l’uscita. La proroga sarà concessa a condizione che il Parlamento del Regno Unito approvi l’accordo di recesso la prossima settimana. In caso contrario la proroga sarà concessa fino al 12 aprile 2019 e ci si attende che il Regno Unito indichi prima di tale data il percorso da seguire.
L’approccio comune alla Brexit serve proprio a garantire il minor impatto sociale, economico e politico sui mercati e sulle imprese, sui cittadini e sui diritti, derivante dall’uscita britannica.
Uscita che impone all’Europa e al nostro Paese di curare gli interessi privati, di aziende, banche e fondazioni, ma di tutelare soprattutto i cittadini, vigilare sul rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale.
Visto il clima di estrema incertezza che incombe sulla data, con il Governo britannico in crisi, il duro confronto parlamentare in atto, la richiesta popolare di un secondo referendum e altre criticità sociali ed economiche, non è del tutto esclusa una Brexit senza accordo, che è lo scenario peggiore.
In un contesto del genere, i preparativi del piano collettivo europeo hanno l’obiettivo principale di garantire, anche con misure legislative ad hoc, uno scudo comune all’instabilità che potrebbe seguire da maggio in poi, a partire da tre linee d’azione principali: la tutela dei diritti dei cittadini italiani che vivono nel Regno Unito e dei cittadini britannici che vivono in Italia; la tutela della stabilità finanziaria e della continuità operativa dei mercati e dei settori bancario, finanziario e assicurativo; la promozione di un’adeguata preparazione delle imprese e la gestione di emergenze di varia natura.
Tra le numerose indicazioni settoriali, per la Commissione europea, “in mancanza di accordo”, in materia di protezione dei dati, si applicheranno le norme sui trasferimenti internazionali: “in applicazione del regolamento generale (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati, della direttiva (UE) 2016/680 per le attività dei servizi di contrasto della criminalità e del regolamento (CE) n.45/2001 relativamente alle istituzioni e agli organismi dell’Unione europea”.
Il regolamento generale sulla protezione dei dati, la direttiva 2016/680 e il regolamento n. 45/2001, prevedono un ampio ventaglio di strumenti per il trasferimento di dati verso Paesi terzi, fra cui, in particolare, le cosiddette “adeguate garanzie“: utilizzabili sia nel settore privato, sia da parte delle
autorità pubbliche (ad esempio le clausole contrattuali tipo approvate dalla Commissione, le norme vincolanti d’impresa, gli accordi amministrativi).
Per quel che riguarda, invece, il comparto digitale, i settori interessati dal recesso riguardano i seguenti temi: comunicazioni elettroniche (incluso il roaming nella telefonia mobile); eCommerce; geoblocking; settore audiovisivo; diritto d’autore; identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche (eiDAS); dominio.eu; sicurezza delle reti e dei sistemi informativi.
In tutti questi settori, è spiegato in un documento della presidenza del Consiglio dei ministri, “il Regno Unito sarà considerato uno Stato terzo ai sensi del diritto dell’UE in vigore”.
Per quanto riguarda specificamente l’audiovisivo, “l’applicazione della normativa UE potrà essere invocata soltanto dagli operatori stabiliti in uno dei 27 Stati membri”.
I contenuti britannici, invece, continueranno ad essere considerati “contenuti europei” (ai fini della definizione delle quote dei contenuti), in quanto il Regno Unito rimarrà parte della Convenzione Europea sulla Televisione Transfrontaliera, conclusa nell’ambito del Consiglio d’Europa70.
Lo strumento migliore per gestire in maniera ordinata, nell’interesse di cittadini e imprese, l’uscita del Regno Unito dall’Unione, ovviamente, è l’accordo di recesso concordato ai sensi dell’art. 50 del Trattato sull’Ue, ma in assenza di una sua ratifica “l’Unione europea agirà per tutelare i propri interessi, adottando un approccio unitario e coordinato in tutti i settori”.