La Gran Bretagna è una delle nazioni tecnologicamente più avanzate al mondo, soprattutto in termini di servizi smart city in ambito urbano. Trasporti, salute, sicurezza, efficienza energetica, gestione risorse idriche e rifiuti, sono tanti i settori che vedono una crescente introduzione di tecnologie digitali e smart in grado di migliorare la produttività, l’amministrazione pubblica e la qualità della vita dei cittadini.
Ieri è stato pubblicato il nuovo studio Juniper Research (JR) sulle smart cities britanniche: “Top 10 UK smart cities – 2017 Leaderboard”.
La classifica 2017 vede in testa Londra, seguita da Edimburgo e Glasgow. Completano la lista Bristol al quarto posto, Manchester al quinto, quindi Brighton, Liverpool, Oxford, Birmingham, Milton Keynes.
Un aspetto interessante che lo studio evidenzia è il ruolo dell’Unione europea in questa rapido sviluppo del panorama smart city del Regno Unito. Negli ultimi 3 anni, si legge nel documento, la Banca europea per gli investimenti e il programma Horizon 2020 hanno destinato alle città intelligenti della Gran Bretagna più di 23 miliardi di euro.
Risorse notevoli, che dal 2019 non saranno più disponibili avverte JR. Come conseguenza della Brexit, infatti, il Governo di Londra dovrà trovare altrove i finanziamenti necessari per sostenere i programmi di sviluppo delle sue smart cities.
Una conseguenza diretta di questo nuovo scenario, secondo il Report, è il probabile ridimensionamento dei progetti di trasformazione digitale urbana, in particolare per le piccole e medie imprese che non sarebbero in grado da sole di far fronte alla mancanza di risorse.
Il documento, infine, suggerisce di dare più spazio alle partnership pubblico-private (PPP) e investire di maggiormente nella cooperazione tra soggetti pubblici e privati, proprio per far fronte alla molto probabile progressiva mancanza di risorse a partire dal prossimo anno.
Proprio ieri la Premier britannica Theresa May è tornata con un pugno di mosche in mano dall’incontro con il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e con il capo negoziatore Ue per la Brexit, Michel Barnier. Secondo quanto riportato da Affari Italiani, è il Regno Unito stavolta a dover dare all’Unione europea qualcosa come 60 miliardi di euro per il biennio 2019-2020: “come “bolletta complessiva” per il divorzio dall’Ue”.
I britannici infatti hanno proposto una cifra tonda di 20 miliardi e una Brexit “soft” che consentirebbe loro l’uscita dall’Ue tra il 2019 ed il 2021 (periodo di transizione e di negoziati). Un punto di vista che sarà molto probabilmente respinto da Bruxelles, proprio in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea in agenda domani, giovedì 19 ottobre.