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BreakingDigital. Rai: ma qual è il mandato del Governo al DG Campo Dall’Orto?

Michele Mezza

Come nei brindisi di fine anno, il nuovo direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto, con la sua odierna intervista al Foglio, ha fatto invecchiare tutti di parecchio in un colpo solo. Al confronto con i ragionamenti di Campo Dall’Orto, i vecchi geni della Tv – come Carlo Freccero e Michele Santoro – sembrano altrettanti Babbi Natale: sempre simpatici e rassicuranti, ma pur sempre figure dell’anno che muore.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

“Una nuova forma di alfabetizzazione”. Questo il passaggio chiave dell’intervista, in cui il nuovo DG pensa che il servizio pubblico non debba più distribuire modi di pensare ma architettare forme di linguaggio digitale.

Siamo in una tempesta perfetta, spiega Campo Dall’Orto, dove persino Google trema, e noi stiamo a sottilizzare su questo o quell’aggettivo di questo o quel TG, quando il mondo sta decidendo come parlare. La Rai, nella visione del DG, deve essere punta di lancia di un sistema paese che negozia i nuovi linguaggi. Anche a costo di rimetterci in percentuali di share.

“Basta con la Tv degli ospedali e degli ospizi, dobbiamo parlare ai trentenni”. Questo l’altro grido di guerra lanciato oggi. “Non solo format nuovi ma modi di progettare e di organizzarsi tutto nuovo”, ha detto.

Si lascia intendere, in questo modo, che la tradizionale classificazione in reti e testate, oltre che in Rai di massa e Rai di nicchia, debbano dissolversi in una logica multimediale: possibile che fra tante direzioni nessuna abbia il compito della distribuzione digitale? La domanda dovrebbe far arrossire più di un Dg del passato. E suona anche come una critica all’attuale gestione commerciale. Secondo qualche malizioso commentatore potrebbe persino essere una spiazzante bocciatura del renziano di professione Luigi De Siervo.

Ma torniamo alla strategia: il nodo che individua Campo Dall’Orto è proprio la mission della Rai. A questo punto però sorgerebbe spontanea una domanda, che il Foglio non ha posto: ma qual è il mandato che gli ha dato l’azionista che lo ha indicato, ossia il Governo?

Come pensa l’esecutivo di riorganizzare l’apparato competitivo più avanzato in materia di autonomia culturale del paese?

E’ tutto affidato all’intraprendenza del direttore generale, che con la nuova legge potrebbe diventare amministratore delegato, o c’è qualcosa d’altro nel cassetto?

E’ fondamentale capirlo che comprendere i margini di reale ambizione del progetto: si basa solo sull’illuminismo di un dirigente adeguato e preparato, oppure anche su una strategia nazionale?

Quali sono le integrazioni con il progetto di connettività sociale di ENEL, di cui, guarda caso, Campo Dall’Orto è ancora consigliere di amministrazione?

E le integrazioni con il commercio estero?

E quelle con le regioni?

E con il sistema del software?

Oppure, c’è forse il rischio è di un velleitarismo isolato?

Insomma la Rai come l’ENI degli anni ‘50 o come l’Olivetti degli anni ‘60?

Comunque buon anno.

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