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BreakingDigital. Paradosso Datagate: il cyberspionaggio dell’NSA affossato dal Tea Party

Michele Mezza

Questo è davvero un breaking digital.

Una decisione che muta radicalmente lo scenario, aprendo una nuova fase conflittuale.

La decisione della FCC di sospendere la possibilità, in virtù del Freedom Act approvato dopo l’11 settembre, che aveva la NSA, l’agenzia di controllo delle comunicazioni, di registrare e selezionare i flussi di relazioni fra cittadini americani, è una vera bomba.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) – mediasenzamediatori.org. Analisi e approfondimenti sul mondo dei media e del digitale, con particolare attenzione alle nuove tendenze della galassia multimediale e dei social network. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Si tratta della prima volta che il governo americano, nel pieno di una temperie geo-politica che non vede certo superata la motivazione che lo aveva prodotto, viene privato di uno strumento, come era appunto l’attività della NSA, di controllo e analisi delle comunicazioni globali.

La decisione che al momento riguarda i cittadini americani non potrà non ripercuotersi sull’intero scacchiere globale.

I termini della vicenda sono noti, e soprattutto è noto che l’intero processo di contestazione della discrezionalità e la pervasività con cui la NSA esercitava il suo potere d’intervento e controllo nelle comunicazioni dei privati cittadini iniziò con il caso Snowden, il giovane analista che rese pubblica l’attività clandestina dell’agenzia americana.

Ma la cosa che invece appare paradossale riguarda la natura e la qualità del movimento che ha dato il colpo mortale alla NSA.

Un movimento che era nato sull’onda delle proteste libertarie degli hacker prima e delle comunità liberal poi, che poi è invece passato sotto le bandiere della destra più oltranzista americana, guidata dai Tea Party.

E’ proprio l’ala più integralista del liberismo statunitense che nel partito repubblicano si appoggia sul movimento d’opinione dei Tea Party, il movimento cresciuto sull’onda dell’opposizione culturale e politica al riformismo progressista del Presidente Obama, e radicatosi in particolare negli stati della famosa Corn Belt, la cintura del grano, del centro e sud degli USA.

Proprio dalla provincia più reazionaria, ma pur sempre segnata da un individualismo anti statalista, che lo porta ad opporsi ad ogni provvedimento che preveda un protagonismo pubblico nell’assistenza o nella formazione, è partita la protesta contro l’ingerenza dello stato nella privacy individuale, che ha avuto come bersaglio principale l’attivismo della NSA.

Dunque è da destra, potremmo dire, che è venuto l’attacco ed è a destra che oggi brindano.

Infatti il dispositivo della FCC, l’agenzia di controllo sulle comunicazioni, vieta alla NSA ed ad ogni organismo statale l’intromissione nei dati personali dei cittadini.

Ma lascia che le aziende private, come appunto AT&T o Google o Twitter possano continuare a profilare i propri utenti.

In sostanza il risultato di quella che sembrava una vittoria della società civile contro l’invadenza dello spionaggio militare, sta diventando uno dei colpi più clamorosi messi a segno dal circolo dei grandi monopoli dell’algoritmo che si vedono assegnare il ruolo di unici custodi delle nostre identità.

Negli USA la partita sembra segnata in favore di una privatizzazione del big data.

Ora il conflitto si sposta in Europa, dove collateralmente alla partita fiscale sull’elusione dei grandi gruppi tecnologici, in corso a Bruxelles, insieme ai primi tentativi di limitare lo strapotere dei monopoli dell’algoritmo, si sta aprendo anche questo nuovo confronto: di chi sono i dati?

Sembrerebbe infatti singolare dire che l’ente pubblico, non possa, nemmeno per ragioni attinenti alla sicurezza nazionale, violare le identità singole, e lasciare invece che semplicemente perché facciamo una domanda su Google, o conduciamo una conversazione su Facebook, o ancora saliamo su un’auto Uber, che gli stessi dati siano raccolti ed elaborati impunemente da aziende private.

Tanto più che fra poco gli stessi service provider si troveranno a controllare i flussi di notizie e informazioni, dopo gli accordi con i grandi giornali globali di Facebook e Google.

Si sta giocando ora la partita per dare un nome ai nuovi poteri di gestione dei flussi vitali di dati e informazioni. E si potrà così capire se la rete possa essere realmente un luogo di conflitto dialettico, in cui soggetti, come i consumatori, o le comunità territoriali, possano esercitare diritti di negoziazione e produrre nuove forme di rappresentanza istituzionale e politica.

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