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BreakingDigital. Notizie false e falsi garanti: serve un nuovo patto con gli Over The Top

Michele Mezza

Michele Mezza

Grande entusiasmo ha suscitato la notizia dell’impegno di due giganti della rete, come Facebook e Twitter per un’azione contro le notizie false. Ma è davvero una buona notizia?

I due monopolisti dei social online, insieme ad altri grandi protagonisti della rete, hanno costituito un groppo – il First draft Coalition – per “educare” i giornalisti nell’uso di Internet come fonte delle informazioni.

Ma a che titolo?

I due social sono, da quello che loro stessi ancora dicono, solo trasportatori di contenuti, semplici piattaforme che dovrebbero connettere individui. Perché dovrebbero cominciare ad intromettersi nella natura e nell’uso dei contenuti che trasportano? Ancora di più, perché dovrebbero addirittura svolgere un’azione di bonifica dell’ecosistema della comunicazione, creando sistemi e procedure per rendere una notizia “vera”?

E come pensano di farlo?

Sviluppando nuove culture professionali? Addestrando redazioni? Rendendo i social più selettivi?

Sono domande tutte retoriche.

E’ ormai chiaro da tempo che i service provider stanno diventando content provider: sono loro i nuovi mediatori dell’informazione. E lo sono sulla base di una sofistica strategia di raccolta, profilazione e distribuzione delle news.

Il tutto sulla base di sistemi algoritmici che automaticamente gestiscono questo immenso traffico.

Su che basi?

Cioè, come agiscono i social che vorrebbero bonificare l’ecosistema?

Facebook, tanto per fare l’esempio più macroscopico, ha abolito la cronologia, ossia il criterio del tempo, per distribuire le sue notizie ai circa 2 miliardi di utenti. E se non è più il tempo, cioè la notizia più recente, la breaking news, il valore, il criterio, cosa è? In virtù di cosa Facebook sceglie le notizie che tanti quotidiani mettono a sua disposizione per farle recapitare tramite Instant Articles alla sterminata platea di frequentatori del social?

Proviamo a pensarci: se non è il tempo, cosa è? Lo spiega di fatto la stessa Facebook. E’ la profilazione dell’utente. Ossia, ad ognuno quello che io ritengo lui possa gradire e debba sapere. Non solo la profilazione del singolo utente, ma anche la pertinenza della notizia con gli argomenti che ognuno sta trattando: se uno parla di immigrazione con sua zia, riceverà le notizie sul tema.

Ma quali notizie? Se non è più agganciato alla naturale successione degli eventi dati dalla cronologia, quali sono le notizie sull’immigrazione che mi vorrà dare Facebook? Forse quelle che ritiene più utili a suscitare una mia reazione emotiva.

Se mi vuole spingere a votare ad una imminente consultazione contro l’accoglienza degli immigrati, mi proporrà, nei giorni più prossimi al voto, una sequenza di informazioni sulle malefatte degli immigrati, come sta facendo Donald Trump nella campagna elettorale americana.

Se invece, come è anche più probabile, vorrà spingermi ad un atteggiamento favorevole all’accoglienza, mi informerà sugli orrori che subiscono le popolazioni che si imbarcano per venire da noi.

In entrambi i casi è una manipolazione.

Siamo proprio nel pieno del capitalismo compassionevole, dove i monopolisti si permettono anche qualche azione misericordiosa. Purché scalabile dalle tasse.

Manipolazione doppia. Da una parte, si agisce sullo strapotere che Facebook sta acquisendo nella distribuzione di notizie, creando criteri e modalità assolutamente discrezionali. Dall’altra, si crea un’assoluta asimmetria sulla rete a tutto vantaggio dei soggetti ibridi, come appunto Facebook, Twitter, ma anche Google ed Amazon, che possono usufruire dello straordinario, e al momento ancora giustificato, vantaggio della net neutrality, ossia della teoria per cui tutti i messaggi in rete sono alla pari, e nessuno può essere discriminato nella velocità di connessione, in base ai contenuti o al mandante. Ma poi, loro, gli Over The Top, sono i primi a violare questa net neutrality, entrando nel merito della natura e della qualità delle informazioni che trasportano.

Siamo alla vigilia di una svolta.

Stati e organizzazioni internazionali devono definire la natura e i limiti in cui questi giganti possono operare. Questo non significa riconoscere il valore delle vecchie rendite di posizione, dei vecchi privilegi degli statuti proprietari di editori e di content company. La rete ha liberato la potenza dell’accesso.

E sarebbe folle ritornare alla medioevale logica dello scambio oneroso e occasionale. Bisogna aprire una fase di nuova negozialità fra utenti, produttori e trasportatori di contenuti, sulla base della reciprocità: ogni protagonista deve scambiare la propria capacità professionale per accrescere la potenza dell’intero sistema. Gli Over The Top devono permettere ai soggetti più svantaggiati, individui, comunità di ricerca, territori, di poter accedere alla loro potenza di ricerca o di trasporto, in cambio di un’autorizzazione ad operare anche fuori dai limiti delle vecchie regole. E’ una necessità momentanea. Oggi serve accompagnare sulla rete nuovi soggetti e farlo in condizione di autonomia e sovranità nei confronti dei giganti.

Poi vedremo.

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