Il terremoto del Nepal è anche un’occasione, e una vetrina, aggiunge malignamente qualcuno, dell’ennesima esibizione di potenza degli Over-the-top.
Facebook, Google e gli altri grandi brand dei social hanno immediatamente colto la necessità, sicuramente con un istinto tipico di chi vive immerso nei sentiment che legge sulla rete, di impegnare la loro potenza operativa a favore delle popolazioni colpite.
BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) – mediasenzamediatori.org. Analisi e approfondimenti sul mondo dei media e del digitale, con particolare attenzione alle nuove tendenze della galassia multimediale e dei social network. Clicca qui per leggere tutti i contributi.La pervasività della rete e, soprattutto, ormai il legame feticistico per cui è alla rete che si chiede la prima traccia di vita di un conoscente, ha reso Facebook il primo vero sensore dei sopravvissuti.
E il gruppo di Mark Zuckerberg ha risposto all’appello che percepiva sui propri server con il linguaggio che gli è proprio: un’app.
Safety Check è un servizio che permette alle persone collegate, via smartphone in quei casi, di dare subito un segno di rassicurazione ai propri cari e una traccia ai soccorritori.
Una straordinaria soluzione che sta guidando migliaia di volontari sulle tracce di migliaia di dispersi.
Google è sul campo anche per la memoria di un suo dirigente, Dan Fredinburg, 33 anni, responsabile per la privacy dell’azienda e co-fondatore di Google Adventure.
Fredinburg era sull’Everest ed è stato travolto da un ammasso di neve, ghiaccio e detriti.
Proprio Frendinburg, appassionatissimo di montagna, aveva portato la georeferenziazione di Google sul tetto del mondo dell’Himalaya, e proprio quella variante di Google Street di montagna sta supportando le ricerche in Nepal.
Apple misura in queste circostanze l’essere legata alla seduzione dei suoi oggetti e non disporre invece di software relazionale sulla rete.
Non può proporre servizi di intervento sul campo, ma lo sterminato network dei suoi utenti per raccogliere fondi e spingerli a partecipare alla solidarietà.
Ma come sempre la rete è regno di nani più che di giganti e, infatti, il vero colpo che potrebbe dare una svolta ai soccorsi in una situazione come quella in Nepal viene da due debuttanti che hanno elaborato nell’ennesimo garage di casa una tecnologia in grado di individuare e recuperare persone intrappolate sotto le macerie.
E’ il progetto sviluppato da due studenti iracheni di ingegneria, che studiano all’Università Flinders di Adelaide con una borsa di studio del governo di Baghdad.
Laith Al-Shimaysawee e Ali Al-Dabbagh hanno creato un nuovo algoritmo, usando telecamere sia termiche che a colori a varie risoluzioni.
Il sistema, equipaggiato su sistemi robotizzati, è stato sperimentato con successo per individuare persone fino a 50 metri di distanza usando telecamere termiche e fino a 30 metri con telecamere a colori.
L’aggiunta di lenti alle telecamere ne migliora il tasso di individuazione.
Ovviamente dietro all’applicazione civile già si affaccia quella militare e il sistema è stato subito rilevato dall’esercito americano per sostituire in zone di guerra esploratori e genieri impegnati in aree minate.
Ancora sospesa la polvere dei crolli in Nepal, ma l’immediata mobilitazione che si è verificata con un impiego di saperi e tecnologie senza precedenti ci dice che le nuove soluzioni in rete stanno, aggiungerei profondamente, mutando anche parametri che sembravano al momento esclusi.
Il modo stesso di manifestare solidarietà, le forme di interventi, la cultura del volontariato diventano un motore della rete e dei suoi protagonisti.
Si ripropone quell’ambiguità fra opportunità e rischio, fra liberazione e nuova subalternità che ritroviamo in ambiti più tradizionali.
E il dolore di un contesto quale la tragedia nepalese forse, mentre si accelerano i soccorsi e gli interventi mirati, ci permette di dare un filtro di umanità a questo strana potenza che ci circonda che è algoritmo.
Aiutandoci a diventare ancora più intransigenti nel voler interpretare la rete come una dimensione inevitabilmente e implacabilmente relazione e sociale.
Persino a dispetto dei suoi fatturati.