Da tempo la penso così.
Già in altre occasioni pubbliche, con Michele Mezza, la questione di un vero e proprio rilancio “conciliare” (sotto la forma “sinodale”) è stata presente nelle nostre riflessioni.
Ne parlammo proprio in occasione del suo penultimo libro “Avevamo la Luna” proprio a ridosso dell’elezione a Papa di Cardinal Bergoglio.
Questo Sinodo richiama la maestosità del Concilio per la durata, l’estensione degli argomenti e la centralità del tema ‘famiglia’ che riassume e, al tempo stesso rilancia, tutte le questioni dei due precedenti pontificati. Papa Francesco sceglie un taglio pastorale, di “combinazione” di tematiche e non più di egemonia dei cosiddetti ‘valori non negoziabili’ che, diventano uno degli argomenti del rilancio pastorale e non più l’argomento dominante.
Credo che le parole-chiave che collegano i due Sinodi siano Profezia della Metamorfosi Ecclesiale.
Infatti con il secondo periodo sinodale ‘lungo’, si è rimesso in moto un processo ‘comunionale’ di eccezionale portata ecumenica.
Stiamo passando, metamorficamente, da una Chiesa gerarchica ad una Chiesa sinodale.
Ovviamente nell’aspetto sociologico-culturale: perché la gerarchia nel senso della garanzia teologica del primato petrino è stata ribadita più volte da papa Francesco.
Ovviamente nel linguaggio del Vangelo, ove ‘primato’ è da intendersi come capovolgimento nel servizio: nella carità, ai fratelli delle chiese particolari.
Con due connotazioni culturali di estrema delicatezza.
La prima come dimensione della ‘rete’ e dei suoi ‘net-point’ che alludono (e fortemente) alle nuove dinamiche dei network e di internet come egemonia dell’‘orizzontalismo’ nel futuro del terzo millennio e caduta dell’autoritarismo del’Padre’, su cui insiste nel suo intervento Michele Mezza. A me pare che prevalga il senso che Lacan usava di questi termini. Ancor di più: nel senso di ‘autorevolezza’ delle leadership presenti nelle differenti istituzioni. Ma sono leadership che vanno conquistate sul “campo della lotta”, sempre revocabili e non più trasmissibili per poteri cooptanti.
La seconda, una cultura delle ‘diversità’ che, noi cristiani, anzi noi cattolici, dobbiamo imparare a far convivere con il ‘primato’, appunto, il servizio nella comune carità e orizzontalità di scelte plurali.
È’ insomma, il ‘lungo’ Sinodo, un grande tentativo di ridefinizione della modernità come non-primato dell’inevitabilità della tecnica, ma l’apertura sperimentale verso l’umanesimo del terzo millennio che si fa carico di tutto ciò che è buono e utile e innovato dalle scoperte degli ultimi cinquant’anni.
Perciò quanto è avvenuto segna il successo di un metodo di lavoro collegiale.
Così il cardinal Schonborn:” …Come fu nel primo Concilio di Gerusalemme, dove l’esito (aggiungo io: del grande scontro/incontro tra Paolo che spingeva per la chiesa ‘verso i gentili’, cioè i pagani di allora, e Pietro che prudentemente mediava le spinte giudaizzanti di Giacomo di restare ‘nel buon terreno conosciuto’) non fu un compromesso politico su un minimo comun denominatore, ma su questo valore aggiunto che dona lo Spirito Santo”.
E poi ancora, nella Relatio finale, l’ottimo equilibrio tra i temi della post-modernità come le crisi delle ‘famiglie ferite’ (di cui una delle questioni è quella dei divorziati risposati) e le drammatiche questioni di ingiustizia verso la famiglia determinate dalla crisi economica strutturale e globale, dalla precarietà strutturale dei differenti mercati dei lavori.
L’appello è dunque al coraggio della testimonianza dei “mezzi poveri” per dirla alla Maritain.
Non credo, infatti, che decisivo sia dire che c’è stato lo scontro tra conservatori e progressisti, ma tra coloro che intendono ancora la pastorale ecclesiale solo come esistenza di una “cristianità” oramai esangue da più di un secolo e altri che accettano il “Duc in altum” di Giovanni Paolo II inteso come “orizzontalismo” strategico di una Chiesa povera strutturalmente, che sa di essere in un periodo storico come fu quello della crisi dell’impero romano dove i cristiani trionfarono attraverso l’anonimato del loro servizio, la povertà dei mezzi e la forza imbattibile della loro testimonianza di vita, come viene ben descritto nella decisiva “Lettera a Diogneto” del primo secolo dopo Cristo.
La vera battaglia che papa Francesco sta facendo è quella di spingere tutta la chiesa “fuori dagli steccati” storici, sulle orme della profezia di Papa Roncalli, vero gigante culturale ed ombra di Francesco, verso quella ‘socializzazione’ del genere umano che traluce dalla enciclica “Laudato Sì” e dalle nuove tendenze del grande movimento collettivo dei ‘migrantes’ che muterà radicalmente tutto in Europa: anche le Chiese.
Tutto ciò porterà, nello spazio di un decennio, ad una Chiesa latina sempre più “greco-ortodossa”, di Eparchie e non tanto di Diocesi, di più extraterritoriale (nel linguaggio tridentino) e di ‘coesistenza’ di strade antropologiche (ma non antagonistiche) come è nella prassi dell’Oriente cristiano.
Ci riusciremo?
Sarà in grado il primato del servizio petrino a reggere questa ennesima profonda metamorfosi cristiana? Quello che sappiamo di certo è che l’alternativa è la ‘reductio’ romana a setta.
Questo è inaccettabile.
Perciò avanti! Duc in altum!