Parte oggi la nuova rubrica BreakingDigital, a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) – mediasenzamediatori.org.
Una vera bomba. L’annuncio di Uber di offrire corse gratis nelle città coinvolte dallo sciopero di lunedì 30 marzo, è destinata a lasciare un solco profondo.
Forse inconsapevolmente, la società di trasporto social, partecipata da Google, introduce un principio assolutamente traumatico per i nostri equilibri socio politici. Per la prima volta, in maniera visibile e concreta, una community diventa servizio pubblico. Infatti la mossa di Uber candida automaticamente la moltitudine di cittadini che prestano tempo e mezzi per assicurare il servizio di trasporto metropolitano come un social network che sopperisce a lacune del sistema pubblico.
Siamo ormai oltre al tema della competitività fra sistemi proprietari e sistemi condivisi, fra copyright e open source, di cui si parla da anni.
Siamo ad una presa di coscienza che la potenza della rete, delle persone connesse in rete, è ormai tale da supplire se non sostituire la vecchia meccanica dei servizi pubblici. Uber con le sue migliaia di cittadini autogestiti che corrono nelle varie città, ma anche i servizi basati su Google maps per la mobilità consapevole, o su Amazon per la disintermediazione degli scambi, e oggi su Periscope o Meerkat per il flusso di audiovisivi da qualche parte del mondo, riclassificano l’idea di spazio pubblico.
Chi esercita questi servizi non è più un intraprendente Maker che sperimenta soluzioni d’impresa, ma, sempre più una moltitudine di cittadini che tendono a sopperire a lacune del mercato o della pubblica amministrazione, in un regime di sussidiarietà. Muta così più che il mercato l’idea di servizio pubblico, di comunità che vede sempre più delegare ai cittadini l’offerta di servizi e prodotti condivisi.
Facebook con il suo miliardo e mezzo di utenti nel mondo, e l’infinita serie di servizi che ospita e veicola, ormai è sempre più simile ad un servizio pubblico globale che a un brand alternativo. Pensiamo a quanto sta accadendo nel campo dell’informazione, dove si assiste non tanto alla sostituzione dei vecchi media con nuove realtà digitali, ma ad una trasformazione dell’idea stessa di comunicazione, in cui tendono a ridursi i ruoli di editori e di giornalisti, mentre gli utenti tendono sempre più a coincidere con i produttori. Non è un nuovo mercato ma una nuova cultura sociale. Con tutti i rischi di ogni grande trasmigrazione.
L’accordo stipulato qualche giorno fa dalla stessa Facebook con giornali e siti per distribuire in automatico le notizie, secondo i profili di ognuno di noi, accelera il processo di disintermediazione ma aumenta a dismisura il potere del social network: come decide la distribuzione dei contenuti? Con che criterio li compone e combina? con quali fini?
Si conferma così che la rete cancella i mediatori, al momento si limita a sostituirli con nuovi soggetti.