Ma perché mai il TG1 o il Tg de La 7 non aprono il notiziario con la notizia che Instagram abolisce il tempo? Quale altro evento di quelli riportati dai telegiornali riguarda così profondamente 400 milioni di persone nel mondo?
Solo l’indifferenza a quanto si produce sulla rete o l’insipienza su quanto conti la rete oggi giustifica una tale rimozione.
Sono in ballo questioni grosse, che interferiscono direttamente con la dialettica dei poteri che pure tanto appassiona i colleghi della TV, o pure della stampa.
In questi mesi si è assistito, nell’indifferenza generale, ad un’azione di arroganza e di prepotenza, nel senso più etimologico del termine, da parte dei monopoli dell’algoritmo in rete.
Il tempo come dimensione sociale è stato abolito in quanto criterio oggettivo di selezione e contestualizzazione di informazioni e contenuti.
Che ore sono? Mi piacciono i pesci. La classica gag di molti anni fa che indicava come non ci si capisse fra due persone oggi diventa il dialogo virtuale più frequente sui social.
Dopo Facebook e Google anche Instagram annuncia che abolisce il meridiano di Greenwich, e il tempo non sarà più un bene condiviso.
Più semplicemente, Instagram annuncia che la pubblicazione dei contenuti nelle sue liste non avverrà più seguendo un criterio cronologico ma di pertinenza.
Ossia, appunto come gli altri service provider, sarà un algoritmo ancora più complesso che ci condurrà ai contenuti che Instagram riterrà interessanti per noi.
In questo modo, i 400 milioni di utenti del social fotografico saranno accompagnati individualmente a prendere visione dei contenuti coerenti con il proprio profilo.
Come spiega il fondatore del social, Kevi Systrom, al New York Times “…quello che si punta a fare è che il 30% che si vede sia il 30% migliore possibile”.
Per cui si rafforza la tendenza di ognuno di noi ad essere blindato nel proprio immaginario.
Infatti è ovvio che in questo modo, organizzando ogni contenuto per flussi profilati, ogni utente vedrà quello che sceglie e dunque solo quello che conosce. Si riduce così quel processo di contaminazione e ibridazione delle nostre conoscenze che i media di massa avevano promosso nel secolo scorso. E soprattutto si rafforza il “cerchio”, dal titolo del fortunato romanzo orwelliano di Dave Eggers, in cui rischiamo di rimanere intrappolati seguendo gli algoritmi dominanti (http://seigradi.corriere.it/2014/11/26/perche-vale-la-pena-leggere-il-cerchio-di-eggers/).
Ma il secondo tema che emerge con forza è il fatto che sempre più sta sparendo dalle nostre relazioni la dimensione cronologica.
Infatti sia in Instant Articles di Facebook che nel sistema AMP di Google, le notizie dei quotidiani vengono distribuite in rete in base alla nostra predisposizione rispetto a quella notizia, prescindendo da ogni considerazione di tempestività.
Non è più il tempo la dimensione in cui si consuma l’informazione, ma è il supposto gradimento dell’utente.
Si pone qui un tema di fondo, di carattere filosofico, su cui in particolare in Italia si potrebbe e dovrebbe lavorare: la cancellazione del tempo non rischia di atomizzare le relazioni sociali?. Alla fine del XIX la sincronizzazione degli orologi, fu una delle conquiste geopolitiche delle comunità occidentali.
In particolare, i grandi matematici come Henry Poincarè e i grandi fisici, primo fra tutti Albert Einstein, lavorarono alla conquista della simultaneità come dimensione comune. Una conquista che permise, con l’ottimizzazione dei sistemi ferroviari e postali, l’unificazione di Stati come la Germania e gli Usa, oltre che l’avvio del processo di globalizzazione. Ora la cancellazione di questa dimensione, con la consegna ai grandi monopoli della rete dei criteri di selezione e distribuzione dei contenuti, a partire dalle news, ci ricaccia in una epoca di relativismo e incertezza, dove fa fede solo la potenza di relazione degli stessi social.
Possiamo regalare i nostri orologi a Mark Zuckerberg e Larry Page?