Il caso

BreakingDigital. G7 di Taormina: la ‘grande bouffe’ della rete?

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

In occasione del G7 di Taormina i leader mondiali si siederanno per la prima volta al tavolo da pari a pari con i vertici dei principali gruppi tecnologici del mondo. Una relazione asimmetrica che non può e non deve andare in scena.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Autore di ‘Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google’. Direttore di Pollicina Academy, centro di ricerca sugli effetti del mobile (www.pollicinacademy.it) Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Quel vertice non s’ha da fare.

Ci riferiamo al G7 di Taormina.

Non ci siamo montati la testa e non andiamo ancora in giro con una casseruola in testa.

Ma qualcosa di forte bisogna dire.

L’ultimo baluardo del monopolio del potere decisionale da parte degli Stati, insieme all’ultima foglia di fico su chi comandi oggi realmente sul pianeta, potrebbe cadere proprio a Taormina, alla fine del prossimo maggio, quando si riunirà il G7.

Un incontro storico, dove vedremo in manovra i vertici di un Occidente in cerca d’autore:

dal neo presidente americano Trump, alla nuova leadership inglese, svincolata dall’Europa, ad un Giappone senza più l’ombrello commerciale americano, al resto dell’UE in piena congiuntura elettorale, con la Francia che avrà già superato il voto e starà raccogliendo i cocci di una durissima competizione con il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, con una Germania che verificherà la tenuta de la Merkel e un’Italia che non sappiamo in quali altre ambasce sarà.

Su questo sconnesso e malmesso scenario politico piomberanno come falchi i padroni dell’algoritmo. Sembra infatti confermato che in quell’occasione, per la prima volta, i leader dell’Occidente si siederanno, da pari a pari, a tavola con i vertici dei 7 gruppi tecnologici più potenti del mondo, per confrontarsi sulle politiche dell’innovazione.

Chi se non i più bravi, si potrebbe dire? Ma chi se non i più sospettati di usare l’innovazione per i propri interessi, potremmo rispondere?

A quel tavolo, a discutere con leader di paesi affamati di lavoro e di sviluppo, siederanno i rappresentanti di Google, Facebook, Apple, AT&T, Samsung, Amazon, forse della cinese Huawei e della russa Mail.Ru.

Una potenza di fuoco finanziario e tecnologico impressionante: una disponibilità di capitali cash per oltre 1 trilione e mezzo di dollari, con una capitalizzazione per circa 6 trilioni di dollari. Siamo insieme alla metà del PIL americano e della UE. Ma i dati macroeconomici non dicono ancora tutto.

Il vero risvolto del potere di questi signori che si affacceranno sullo splendido mare di Taormina, più che i soldi sono gli algoritmi e i big data. Sono loro i titolari dei sistemi algoritmici che stanno pianificando la nostra vita, orientandone i linguaggi e dunque i pensieri.

Loro sono anche i padroni dei flussi dei dati predittivi, in base ai quali ognuno dei presidenti dei 7 stati che siederanno loro di fronte spera di vincere le proprie elezioni.

Trump ha già sperimentato questo potere, ed ha dominato le sue presidenziali, sbaragliando la Clinton che non era certo una colombella. Ora tocca agli altri sia provare a vincere, ma soprattutto non farsi condizionare da chi, come gli hacker russi, quei sistemi sa come usarli per qualcuno e contro qualcuno. Gran parte del destino della Merkel e di Gentiloni, o delle residue possibilità che ha Hollande di influire sul voto del suo paese, è affidato all’affinamento di questi sistemi predittivi. Con quale autonomia o autorità i capi delle democrazie occidentali interloquiranno con poteri cosi estesi e pervasivi? Chi potrà resistere alle richieste di adattare la vita dei paesi a quella dei social?

Si tratta di una relazione asimmetrica che non può e non deve andare in scena. Non si tratta di ripetere Seattle, ma di mettere in campo una consapevolezza critica forte: noi sappiamo cosa sta accadendo e non vi permettiamo di svendere la nostra vita digitale per un piatto di voti.

All’ordine del giorno di Taormina deve esserci la liberalizzazione degli algoritmi, l’idea che la potenza di calcolo sia uno spazio pubblico, trasparente e negoziale, in cui ogni gruppo d’imprese deve sapere che non può disporre solo per il fatto di esserne titolare.

Giornalisti per la trasparenza dell’informazione, Università, per la sovranità della ricerca, sistemi televisivi pubblici per l’autonomia professionale: sono queste le battaglie che devono arrivare sui tavoli di Taormina. Sicuramente non vi deve essere una trattativa riservata e separata, in cui si svende la sovranità di un territorio per il destino di un leader.

Da oggi il popolo della rete, dopo aver molto ballato attorno alle idee di governance dell’innovazione, deve cominciare a presidiare questo tavolo: un grande osservatorio sociale che misuri, giorno per giorno, richieste e concessioni che a Taormina devono essere imposti e non richiesti ai monopoli della rete.

Da oggi al lavoro.

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