Key4biz

BreakingDigital. Facebook come la Casa Bianca: la svolta politica di Zuckerberg

Michele Mezza

Michele Mezza

Trasforma gemiti in movimenti. Questa la compassata ed amara constatazione dell’ex premier inglese Cameron dopo il referendum sulla Brexit, a proposito del ruolo dei social. Figurarsi quando i gemiti sono urla.

Mark Zuckerberg sembra voler orchestrare quelle urla, trasformandole in voti.

Ormai il brusio che serpeggiava per i corridoi del Campidoglio a Washington sta diventando un assordante tam tam: mister Facebook vuole la Casa Bianca.

Siamo alle solite?

Quando un potere diventa sufficientemente autonomo e pervasivo da dedicarsi alle anime dei suoi clienti, oltre che alla materialità delle loro azioni, allora quel potere mira direttamente a prendere tutto il piatto, a farsi stato.

La storia americana da questo punto di vista  ha posto paletti solidi su questo percorso: dall’economia si può influenzare ma non governare. la storia è un libro aperto: dai massoni delle piantagioni, ai grandi mediatori commerciali prima e finanziari dopo, come insegnano le casate Lehman e Morgan, insieme agli Iron barons delle ferrovie, con i Rotschild  a guidare le danze, poi le grandi dinastie industriali e ancora  petrolio e banche, infine, ecco i Tycoons della comunicazione, da Citizen Kane a Trump.

Proprio l’ultimo passaggio, il neo presidente Trump scardina i paletti e crea il primo governo che assomiglia ad una gigantesca camera di commercio, con i rappresentanti diretti dei settori e delle corporation installati nelle stanze dei bottoni.

In Italia qualcosa sappiamo anche noi: i paletti della DC hanno evitato che la Confindustria arrivasse direttamente a Palazzo Chigi, difendendo l’autonomia del politico, fino alla discesa in campo di Berlusconi, dopo mani pulite.

Direttamente, o indirettamente, la politica istituzionale è sempre il frutto di una mediazione fra poteri economici e senso comune, fra volontà di comando oligarchica, e una pressione democratica dell’opinione pubblica.

Ma ora sembra intravvedersi un ulteriore salto di qualità: il social si fa nazione.

La voce di una strategia politica da parte di Zuckerberg è ancora del tutto vaga. Ma le sue mosse sembrano dare corpo al sospetto.

Da mesi l’ex scontroso e timido ragazzino terribile di Harvard ha assunto una fisionomia pubblica sempre più precisa: interlocutore diretto delle istituzione, leader della corporazione digitale, teorico di un modello di relazione sociale basato su un grado di progressiva trasparenza individuale.

Poi in poche settimane, a cavallo delle elezioni presidenziali che hanno sbaragliato il vecchio partito democratico, scardinando appunto tutti i paletti che separavano corporation dalle istituzioni, il prode Mark, sempre con il suo bebè in braccio, come un rassicurante e maturo padre di famiglia americano, ha cominciato a darsi un’aura riflessiva e prudente: cede qualcosa dinanzi alla spinta indignata sugli eccessi di Facebook, riconosce la sua dimensione sempre più vicina alla media company, decide di conoscere da vicino la pancia dell’America impegnandosi in un viaggio che lo porterà in tutti i 50 stati dell’Unione, ed infine, la ciliegina sulla torna, il proclamato agnostico, se non proprio ateo, si dice ora interessato e turbato dalla religione.

Troppi indizi per non diventare una prova.

Si allunga la fila di magnati alla ricerca di un’ebrezza elettorale?

L’eventuale discesa in campo del giovin signore di Facebook segnerebbe invece davvero uno strappo.

Con Facebook che diventa una lista elettorale, per la prima volta la democrazia, dai tempi di Pericle, diventerebbe una procedura confermativa e non risolutiva.

In questo nuovo contesto, il voto non sarebbe più un’opzione da contendere, da conquistare con le procedure più sofisticaste per cogliere la media ponderata di una massa di elettori.

Ogni singolo cittadino, ogni voto, diventerebbe un canale audiovisivo, una Tv personale. Il corpo elettorale sarebbe una moltitudine pulviscolare di pagine Faceboopk profilate e monitorate con i big data.

Ogni cittadino sarebbe interpellato e contatto in base alle sue preferenze, ai suoi desideri, al suo linguaggio. Ancora Cameron, parlando dell’effetto Facebook nella consultazione inglese, ha definito il social un sistema di “impollinazione”. Una fotografia perfetta.

Lui in realtà si riferiva alla massa di fake news che avrebbe inquinato il dibattito.

In realtà l’ape che porta il polline prelevato dagli altri fiori per innestare il ciclo vitale non è il chiacchiericcio ma è il linguaggio, ossia il sistema semantico stesso che impone una meccanica emotiva. Più concretamente è la struttura degli algoritmi che governano la personalizzazione dei social nella distribuzione dei contenuti e delle informazioni che è in grado di manipolare le nostre relazioni.

Facebook impollina la società proponendo schemi e modelli narrativi ai quali noi ci atteniamo per entrare nella comunità.

Qualche anno fa Dave Eggers, un grade scrittore americano, scrisse un libro che doveva essere di fanta tecnologia, Il Cerchio, nel quale, ammiccando palesemente ad Orwell, descriveva una nazione completamente circuita dal potere assoluto di un social, denominato appunto Il Cerchio, che guidava la vita di tutti i cittadini.

Fu un grande best seller che non ha potuto trasformarsi in un film perché in poco tempo quelle metafore paradossali che dovevano proiettare il racconto nel futuro sono diventate banale cronaca di esperienze quotidiane.

Nel libro si parla proprio della strategia di Zuckerberg. Così Eggers fa parlare il capo del suo social totalitario: ”Washington cerca di risparmiare, ed è poco propensa a costruire nuove vaste burocrazie da zero. in questo momento il governo federale spende due miliardi ogni 4 anni per le lezioni presidenziali. Solo per scrutinare i voti di quella particolare elezione, in quel giorno particolare. Prendi ogni stato, ed ogni elezione locale, e parliamo di centinaia di miliardi ogni anno per costi inutili, per il semplice scrutinio dei voti. Sai che in certi stati lo fanno ancora su carta? Se noi forniamo gratuitamente questi servizi facciamo risparmiare al governo miliardi di dollari, e cosa più importante, i risultati si conoscerebbero all’istante”.

Eravamo nel 2013, Trump non era nemmeno alle viste.

Vi pare oggi così fantascientifico che un presidente populista e spendaccione voglia recuperare centinaia di miliardi raffreddando le elezioni?

Facebook non potrebbe diventare il Cerchio americano, dove ogni cittadino trova insieme alla sua scheda elettorale, la cartella delle tasse, e i moduli per iscrivere i figli a scuola?

Forse questa è la vera elezione a cui mira il nostro Mark: non la trafila delle primarie, e magari una lunga campagna elettorale, ma convincere direttamente i cittadini a chiedere ai propri governanti di digitalizzare le proprie relazioni amministrative e civili, di realizzare quello che lui ha già teorizzato: Facebook come spazio pubblico, come luogo istituzionale in cui tutti i cittadini si realizzano, manifestando le proprie identità. Dando così a Facebook un’anagrafe completa dei comportamenti e delle emozioni dell’intero paese.

A quel punto, continua a parlare nel libro di Eggers il capo de Il Cerchio: ”Se possiamo conoscere la volontà del popolo in ogni istante, senza filtro, senza travisamenti o interpretazioni illegittime, questo non finirebbe per eliminare gran parte di Washington?”.

A questa domanda chi risponderà? lo stesso Zuckerberg o magari già ci sta pensando Trump? E forse persino Grillo comincerà a coltivare qualche velleità. Non è la domanda a cui sta già rispondendo Putin? e forse anche il leader cinese XiJinping? Non è la domanda che si intravvede in fondo al tunnel in cui è entrata la democrazia?

E questa volta non sarebbe un libro.

Exit mobile version