La comunicazione è vita non è Auditel.
Lo slogan l’abbiamo visto all’opera nelle ore del terremoto. In tutta la sua geometrica potenza. Purtroppo.
Il video che trovate qui è un video streaming di una radio locale di Amatrice, che bene spiega cosa intenda.
Cosa si poteva fare, cosa qualcuno spontaneamente ha fatto, e cosa i professionisti non hanno pensato.
Un terremoto è terribilmente imprevedibile per antonomasia.
La sua carica omicida sta proprio nell’impossibilità di difendersi. Più di ogni altro fenomeno naturale non lascia scampo ne spazio a tecniche e sapienze. Chi ci capita deve solo sperare nella buona sorte. Il sisma dell’altra notte ha devastato il centro Italia. Per la sorte di chi stava in città vicine e la maledizione di chi era invece in campagna, il sisma si è infilato in un inedito corridoio che taglia esattamente a metà lo stivale dai contrafforti del tronfiano marchigiano ai canyon centro umbri fino alle retrovie di Roma.
Zone periferiche, poco popolaste, abbarbicate in momentanei impennate montane. Solo per questo non si contano vittime a centinaia, come a L’Aquila nel 2009. Benché alcune piccole, ma radicatissime comunità, come quella di Amatrice o di Arquata o di Accumuli, appaiono colpite a morte.
Ma proprio per la sua implacabilità il terremoto è da sempre oggetto di studi e di lavoro per ridurne gli effetti devastanti. Anche perché un sisma raramente colpisce come un’unica frustata, ma ha sempre un carattere processuale, prolungato, ripetuto nel tempo. E’ proprio questa sua ripetitiva temporalità che permette di intervenire per limitarne la esplosività.
Al momento una delle tecniche che è riconosciuta in tutto il mondo è la comunicazione, ossia la capacità del sistema civile di coinvolgere nella consapevolezza del fenomeno il maggior numero possibile di persone, sia fra quelle che sono bersaglio, vivendo nei dintorni dell’epicentro, sia fra coloro in grado di intervenire per lenire dolori e limitare i danni.
Informazione+Consapevolezza è la formula usata per combattere l’imprevedibilità dell’evento sismico.
Questa premessa solo per dare alle osservazioni di seguito non il carattere del pedante e pierinesco giudizio sull’azione di colleghi giornalisti, teso a screditarne l’opera solo per un rimbalzo mediocre di autocelebrazione.
Qui il tema non è la bravura a fare audience, ma la capacità di circoscrivere e ridurre gli effetti mortali della natura.
Non stiamo parlando di giornalismo, stiamo valutando un servizio civile per le popolazioni.
La critica è tesa a migliorare e ad assicurare un bilancio meno doloroso per il futuro.
Appare infatti vitale, per il futuro, capire il come e il perché le TV e i giornali abbiano fallito il loro ruolo pubblico, che, in una circostanza quale appunto un terremoto (tanto più in una area isolata e disancorata dalle grandi reti naturali di connessione) è quello di supportare la Protezione civile e non di vendere audience.
Noi pensiamo che nelle prime ore di questo 24 agosto 2016si sia assistito ad un tonfo professionale e culturale insopportabile da parte del sistema mediatico professionale.
Un tonfo insopportabile perché causato dall’impreparazione su temi che da anni sono materia di petulante discussione e di cerimonialità astratta: l’uso della rete nell’informazione.
Quanti convegni, quanti saggi, quante esibizioni a buon mercato di dirigenti e direttori che annunciavano: “…da oggi saremo una media company; il mio giornale? sarà rete, rete, rete…”
E poi, alla prima prova del fuoco, tutto come prima: agenzie, agenzie, agenzie.
Cominciamo dai giornali.
Dalle 3,36, ora della prima, micidiale scossa, è andata in scena l’impotenza del giornalismo tradizionale.
Le principali testate, dal Corriere della Sera a Repubblica e al Messaggero, si sono scoperte senza presidio nella redazione web nella notte. Certo è agosto, sicuramente siamo in un periodo di bassa intensità, ci sono le ferie da smaltire.
Ma il punto è un altro.
La redazione web non è un inevitabile ma costoso servizio accessorio, non è la vigilanza notturna, non è un gadget.
Come spiega nel 2013, nella sua lettera ai giornalisti l’allora direttore del Financial Times, Lionel Barber, intitolata emblematicamente “Digital First”: “…il digitale è la nuova modalità con cui costruire il nostro servizio informativo che seguirà il flusso della rete, 24 ore su 24 e solo accidentalmente in una di queste 24 ore, ricaveremo una versione cartacea di quello che pensiamo sia accaduto nelle precedenti 23 ore…”.
Dunque terremoto o non terremoto, la redazione non è web o cartacea, ma è un’unica comunità professionale che seleziona ed analizza tutte le notizie che affluiscono a getto continuo.
Nelle testate italiane non è ancora così, esiste un nucleo separato, come i navy seal, che intervengono in casi eccezionali. Che si occupa della rete, come il digitale fosse un genere, un settore, una lingua, separata. Con identità, orari e turni distinti dalla redazione. Un anacronismo ridicolo. Che espone testate gloriose alla meschina figura dell’altra notte: mentre un pezzo d’Italia si sbriciolava loro mandavano in rete grandi foto del vertice di Ventotene o allarmi per gli incendi di Roma a Monte Mario.
Per le TV è andata anche peggio.
Per quasi un’ora dopo la scossa centrale, sia Rainews24, che Skynews24 (sicuramente le due reti più votate all’informazione, ma quel numero nella testata scaramanticamente cosa indica?) snobbano la breaking news, liquidandola dopo una ventina di minuti con una scritta: “Ultim’ora, scossa di terremoto in centro Italia”. TG-Com nemmeno quella.
Nel frattempo l’Ansa taceva, e la rete, soprattutto Twitter cominciava a pulsare, con grida acute e prime fotografie.
Qualcosa di drammatico stava delineandosi.
Ma i canali digitali All news aspettavano solenni autorizzazioni che solo un take dell’Ansa poteva dare.
Teniamo presente che la scossa ha fatto ballare e forte anche Roma, con almeno un milione e mezzo di persone che si stanno chiedendo da dove venisse lo scossone.
Silenzio.
Poi verso le 4,10 Rainews si scuote e comincia un filo diretto in studio.
La macchina del tempo ci riporta al 23 novembre del 1980, il terremoto dell’Irpinia, quando i conduttori dei tre Tg cominciarono nella notte a annunciare una tragedia montante. Senza immagini e senza riferimenti locali. Lo stesso 36 anni dopo. La conduttrice della Rai animava il crescendo, ma non mostrava nemmeno una cartina che già dilagava in rete. Bisogna arrivare alle 4,50, un’ora e mezzo circa dopo la botta sismica, per vedere una cartina dettagliata in trasmissione e poter capire da Rainews 24 che quanto si è sentito a Roma è un terremoto che arriva dalle valli umbre e marchigiane e si infila nei corridoi dell’Alto Lazio. Un sisma che supera il 6° grado della scala Richter.
Non uno scherzo, siamo ai livello dell’Aquila.
Cominciano le congetture: qualcuno sta piangendo e qualcun altro potrebbe non poterlo più fare.
Ma dove?
Protezione civile e regioni Lazio e Umbria si mettono in moto, ma non dicono nulla a nessuno e nessuno glielo chiede.
Dove si va a soccorrere? Bohhh.
Twitter intensifica i lanci: Siamo nella zona di Amatrice, crolli e macerie.
Il sindaco di Accumuli parla alle radio locali: aiuto qui manca metà paese.
Ma in Tv silenzio.
Sky24 continua a gigionare con le sue rassegne stampa. Rainews cerca a tentoni giornalisti locali. Ma perché giornalisti?
Si comincia a capire che non ci sono piani e piattaforme per l’evenienza.
Ma possibile nessuno ha predisposto un piano in caso di emergenza?
Manca un sistema per lavorare sulla rete?
Il server non ha un modo per riprogrammare i motori di ricerca? E’ terribilmente così.
Mancano addirittura i collegamenti istituzionali. Non c’è nemmeno la postazione banale nella sala operativa della Protezione Civile.
Non si riesce a mandare in onda niente di quanto si muove.
Finalmente entra in cottura anche il patinato Skynews24. Ma anche qui non ci sono terminali sul territorio. Eppure in rete affluiscono filmati da molti comuni, tipo quello qui allegato.
Del resto ormai è un istinto antropologico per chiunque si trovi in una qualsiasi situazione filmare e postare. Figuratevi quando bisogna chiedere aiuto. Ma non si riesce a vederli in onda. Solo due ore e mezzo dopo, Rainews24 manda il primo frammento di un filmato da Amatrice di un smartphone.
Sul territorio cominciano ad esserci i primi inviati: radio e tv, Rai e Sky.
Ma questi parlano al telefono. Dunque i telefoni funzionano. Allora perché non riprendere foto e filmati e farci capire di cosa stiamo parlando, quanto è grave il fenomeno: 10, 100 o 1000?
Il massimo della frustrazione arriva alle 6 del mattino quando inspiegabilmente la diretta di Rainews che cominciava ad avere qualche senso con i primi inviati, si interrompe sulle frequenze di Rai3 perché il TG3 pretende di andare in onda con un suo speciale.
Ma perché non integrano e non intensificano quello che c’è?
Dov’è il coordinatore editoriale della Rai Verdelli?
Siamo ancora alla tripartizione.
Magari quelli del TG3 avranno informazioni esclusive.
Invece è un pianto.
Una collega della redazione, letteralmente senza nulla in mano, è mandata allo sbando solo per dire il TG3 c’è. La Berlinguer è ancora professionalmente viva e lotta insieme a noi, verrebbe da dire. Ma allora perché la sovrapposizione?
Da insider dell’azienda leggo fra le righe. Lo speciale del TG 3 insiste nella lentezza dei soccorsi, mentre il direttore di Rainews24 Di Bella, arrivato a dare un ulteriore rallentata alla sua redazione in onda valorizza l’efficienza della regione Lazio.
Chi nasce tondo non muore quadrato.
Finalmente voce agli inviati. Siamo alle 7 del mattino più o meno. E’ ormai giorno. Qui si vede che la vecchia Tv si sente finalmente a suo agio: appena si torna a muovere l’artiglieria i vecchi generali borbonici tornano padroni di casa.
E’ la veloce e irregolare cavalleria che li disorienta.
Ma perché non si riesce ad usare l’abbondanza della rete?
Per un vincolo culturale e corporativo: immergersi in rete significa avere piattaforme adeguate, con server che catalogano in automatico i file, e li georeferenziano per poter valutare in diretta, significa avere un sistema di collegamenti con il territorio, una rete di base che arriva nei singoli Comuni, significa avere connessioni con i gangli istituzionali, intese per collegamenti video Skype con la situation room della Protezione civile e con le Regioni, significa avere una redazione di web master e non di aspiranti inviati. Significa avere smartphone predisposti per streaming video, e capacità di regia volanti. Insomma significa fare la multimedialità.
L’ironia del caso è che se si rilegge la storia di Rainews24, di cui mi è capitato di essere testimone, si vedrebbe che nel 1998, quando elaborammo il suo modello editoriale on line la prima cosa che si fece fu andare alla Protezione civile e dire: se accade un terremoto vi serve un canale di servizio che guidi i soccorsi e arrivi su tutte le piattaforme con istruzioni e news?
Aspettiamo ancora la risposta.