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BreakingDigital. Bruxelles: l’abbondanza della tragedia che manda in tilt la vecchia Tv

Michele Mezza

Michele Mezza

La realtà è spietata.

Sia in politica che nel giornalismo, non reggono le chiacchiere rispetto a quanto accade.

Gli attentati di Bruxelles ci raccontano di un Occidente vulnerabile e disorientato rispetto ad un nemico che aveva teorizzato ma mai incontrato realmente.

Oggi siamo nel mezzo di una guerra asimmetrica, di cui sono pieni i manuali delle scuole di formazione militari. Ed è una guerra rispetto alla quale, come spiega il consulente strategico di Obama, “l’Occidente non ha mezzi né soluzioni”.

Così come l’informazione arranca.

In queste ore, ancora una volta, la rete ha surclassato l’accademia.

Linguaggi, soluzioni, efficacia, testimonianze.

Tutto è passato esclusivamente dal web.

La rete sta avendo un ‘effetto traumatico’ per i media tradizionali che faticano ad adeguarsi.

A cominciare dalla televisione che è costretta a prendere atto che l’abbondanza delle fonti, che in simultanea si sovrappongono, pretende una diversa geometria del video.

Non a caso Sky, la più pronta a reagire, è costretta a deformare costantemente la sua videata unica, per frammentarla.

La contemporaneità delle fonti, l’intreccio dei canali e dei segnali non permette più di disciplinare linearmente il flusso delle immagini.

Anche in questo caso, come spesso nella rete, non si tratta di uno shock inedito, ma di un ripristino.

E’ un peccato che Rainews24 invece ancora troppo legata alla sua cultura da Telegiornale, non ricordi che proprio il canale all news del servizio pubblico fu il primo a proporre uno schermo a mosaico, per governare i flussi contemporanei.

Solo Youtube conserva la memoria di quella prima videata che nel lontanissimo 1999 sembrava eccentrica e confusa e che oggi a malapena reggerebbe la molteplicità dei contenuti multimediali.

Paradossalmente, mentre ci si sforza di intercettare i nuovi linguaggi, sintonizzandosi su Periscope o raccogliendo le strisce streaming dei giornali, si perde la capacità di declinare la propria tradizione. Infatti la Rai che a Bruxelles dispone di grappoli di corrispondenti ed inviati nei corridoi dell’Unione Europea per lunghissime ore non è riuscita a condurci nella strade desertificate della capitale belga sotto attacco, mentre Sky24, per non parlare di BBC, si collegava dopo meno di 2 ore direttamente dalle strade colpite dagli attentati.

Viene in luce qui un deficit di pensiero e di cultura professionale.

Non si tratta di passare da un eccesso all’altro, ma di capire cosa significhi ascoltare la rete, e filtrarla attraverso le propria cultura e le proprie procedure.

Si tratta di rimodulare l’idea di inviato, ridisegnarlo come un broker di segnali e di linguaggi, di ripensare l’idea di studio, concependolo come un hub e non come un capolinea, dei flussi informativi.

Significa giocare sulla provvisorietà di ogni notizia, lasciando aperta ogni informazione ed esporla permanentemente al ruminamento della rete.

Quello che stiamo imparando anche in questi drammatici frangenti è che ormai ognuno di noi, testimone o giornalista, dilettante o professionista, con uno smartphone in mano non scappa mai, prima filma, qualsiasi cosa accada.

Le immagini ritrovate in rete sugli istanti immediatamente successivi alla tremenda esplosione nella metropolitana ci confermano che siamo sempre e permanentemente documentati su qualsiasi cosa accada.

E’ un problema di profili professionali, e di logistica giornalistica. Ma è anche un problema di missione strategica di ogni impresa editoriale: ripensare i modelli ricostruendo, artigianalmente, le soluzioni. Non possiamo ora diventare tutti adepti di Periscope, da quando eravamo tutti disciplinati esecutori del piano americano e delle troupe pesanti.

L’abbondanza ci impone una riflessione autonoma e una corsa alla soluzione originale.

Non per apparire ma per essere.

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