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BreakingDigital. Apple all’esame di sociologia: dal consumo di app all’uso condiviso

Michele Mezza

Apple contro se stessa.

Questa notte a San Francisco verranno presentati i successori degli iPhone 6 e 6Plus.

Tim Cook dopo aver brillantemente superato l’esame comparativo con il mito di Steve Jobs deve ora confrontarsi con un nemico molto più insidioso: l’insuperabilità del suo successo. Negli ultimi tre trimestri la Apple, grazie ai due modelli di cellulari presentati solo l’anno scorso, ha registrato una performance industriale da fantascienza: un incremento di fatturato del 30% trimestre su trimestre.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Ma oltre il dato finanziario, quello che sembra ancora più complesso è il dato simbolico: la perfettibilità della perfezione.

L’azienda di Cupertino da 10 anni riesce, affabulando sapientemente il mercato con un mix di innovazione materiale e di indotto immaginario, a spingere continuamente in avanti il desiderio di chi già oggi consuma di più.

Questo in realtà è il vero segreto della Silicon Valley: spingere chi oggi ha tutto a volere ancora di più. Una formula che ha mascherato crisi di consumo e impasse di mercato, grazie proprio all’abnegazione consumeristica di quel segmento del mondo che vive ampiamente nelle spire dei servizi digitali.

Apple ottiene questo risultato con i suoi status symbol, Google con la competitività indotta dei suoi servizi professionali, Amazon con le economie di scala delle sue potenza di memoria. In tutti questi casi, ad espandere il mercato è stata prevalentemente la sostituzione delle soluzioni precedenti. Questo, appunto, in virtù di un continuo e lineare processo di innovazione, che in poco tempo superava gli alfabeti comunicativi precedenti.

Ora si avverte un rallentamento. Da qualche anno gli osservatori ci dicono che nel processo innovativo si sta procedendo per quantità più che per qualità. E da qualche mese ancora di più si procede per semplici combinazioni e geometrie di opportunità. Non a caso le app, simbolo di un soluzionismo relativo, stanno dominando il mercato.

La sensazione è che siamo in vista di un cambio radicale del vagone di testa. Dalla comunicazione reticolare, che ha guidato il convoglio dell’innovazione tecnologica si sta passando alle biotecnologie e alle forme di produzione, mediante una implementazione delle nuove risorse di connessione fra gli oggetti e la sensoristica biologica.

Il corpo umano diventa la piattaforma di nuovi dispositivi che interagiscono con gli impulsi biologici, rielaborando e trasmettendo i dati. Una fase che porrà grandi temi di controllo e negoziazione degli standard, sottraendo al semplice gioco del mercato il riconoscimento degli standard tecnologici. Insieme a questo cambio di natura del processo tecnologico sopravviene anche un cambio di culture dei consumatori, che sempre più si stanno rivolgendo a comportamenti di uso provvisorio delle soluzioni, dando forma a quell’economy sharing che sta scomponendo equilibri e primati economici.

Cambio di genere e cambio di modalità di espansione, per cui la fase mercantile di consumo potrebbe non essere più il driver del processo innovativo. Soprattutto potrebbe ora non funzionare più il gioco di contare solo sul segmento più elitario del mercato. Sanità e economy sharing sono fenomeni che marciano sulle gambe dei ceti urbani intermedi, che oggi si trovano lontani dal vertice sociale.

Per questo Apple oggi è alle prese con lo spettro del suo successo, ma soprattutto deve farci capire se la mela di Cupertino vorrà guidare anche questa nuova fase tecnologica o cercherà una ritirata strategica in attesa di una nuova, ennesima resurrezione.

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