analisi

Bonus 600 euro Inps e privacy. La vicenda spiegata

di Federica De Stefani, avvocato e responsabile Aidr Regione Lombardia |

I nomi dei politici beneficiari, a determinate condizioni, possono essere resi pubblici. Cosa prevede la legge di riferimento.

Privacy e bonus Covid da 600 € in questi giorni sono stati al centro delle cronache per la richiesta avanzata da alcuni parlamentari e amministratori pubblici al fine di ottenere il bonus erogato dall’Inps per l’emergenza causata dalla pandemia.

La vicenda ha suscitato polemiche e critiche pesanti, anche dal punto di vista etico e morale, essendo il bonus finalizzato al sostegno dei titolari di partita IVA duramente colpiti dal lockdown e dalle ripercussioni economiche derivanti da quest’ultimo sulle rispettive attività lavorative.

L’indignazione suscitata dalla notizia e la richiesta, da più parti, di rendere noti i nomi di chi avrebbe presentato la domanda, ha determinato un intervento del Garante per la protezione dei dati personali il quale, al fine di evitare che la privacy possa essere invocata a sproposito, nel proprio comunicato dell’11 agosto 2020 ha precisato due importanti aspetti.

In primo luogo la privacy non è d’ostacolo alla pubblicità dei dati relativi ai beneficiari del contributo laddove, come nel caso di specie, da questo non si possa desumere una condizione di disagio economico-sociale dell’interessato.

In secondo luogo il principio vale, a maggior ragione, nei confronti di tutti coloro per i quali, a causa della funzione pubblica svolta, le aspettative di riservatezza si affievoliscono, anche per effetto dei più incisivi obblighi di pubblicità della condizione patrimoniale cui sono soggetti gli stessi.

Il Garante poi, con il comunicato stampa del 17 agosto 2020 ha inviato all’Inps alcuni chiarimenti sulla pubblicazione e comunicazione dei dati dei beneficiari del bonus che ricoprono cariche elettive pubbliche.

In sintesi non esiste alcun obbligo di pubblicazione dei dati personali dell’intera lista dei beneficiari di contributi economici, che riguardano diversi milioni di cittadini.

Il Garante ribadisce infatti le indicazioni già fornite alle pubbliche amministrazioni con le proprie Linee guida in materia di trasparenza. Esse prevedono l’obbligo di pubblicazione degli atti di concessione di vantaggi economici, di qualunque genere, a persone ed enti pubblici e privati, qualora l’importo dell’erogazione sia superiore a mille euro.

In ogni caso non possono essere pubblicati i dati identificativi delle persone fisiche destinatarie di qualsiasi emolumento e a prescindere dall’importo di quest’ultimo, nel caso in cui questi dati possano rivelare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati.

È quindi compito dell’amministrazione destinataria dell’obbligo di pubblicazione valutare le condizioni di disagio e, nel caso di sussistenza, provvedere all’erogazione del contributo, senza tuttavia, per quanto già detto, pubblicare i dati personali dei destinatari.

Questa attività valutativa è stata a tutti gli effetti effettuata dall’Inps che, in base al Decreto Cura Italia, ha classificato il bonus dei 600 euro come “ammortizzatore sociale”, ossia una prestazione a sostegno del reddito e, in quanto tale, idonea a rivelare una situazione di disagio economico del destinatario.

Il comunicato prosegue poi indicando che, con riferimento alle richieste di accesso civico generalizzato ricevute dall’Inps riguardo ai dati dei beneficiari del bonus, il Garante non possa adottare un parere formale non ricorrendone i presupposti. Ha in ogni caso richiamato le indicazioni contenute nelle Linee guida dell’Autorità Nazione Anticorruzione, che precisano che per valutare l’esistenza di un reale pregiudizio concreto alla riservatezza degli interessati, in base al quale decidere se rifiutare o meno l’accesso civico ai loro dati, l’ente destinatario della richiesta deve far riferimento a diversi parametri che devono essere valutati caso per caso. È quindi compito dell’Inps verificare, nel singolo caso concreto, la possibilità di rendere noti tramite l’accesso civico i dati personali richiesti.

I nomi dei beneficiari, quindi, a determinate condizioni, possono essere resi pubblici, aspetto, questo, che ha destato clamore e interesse da parte dell’opinione pubblica per i risvolti politici connessi.

Dal punto di vista giuridico, tuttavia, il nodo della vicenda riguarda anche altri elementi, ossia le modalità con le quali l’INPS sia giunto alla individuazione degli interessati e quali criteri abbia utilizzato.

In pratica, com’è stato possibile risalire alla identificazione dei parlamentari e degli altri amministratori pubblici? 

Su questo aspetto il Garante ha aperto una specifica istruttoria chiedendo in particolare all’Inps di conoscere diversi elementi che riguardano:

  • quale sia la base giuridica del trattamento effettuato sui dati personali dei soggetti interessati; 
  • l’origine e tipi di dati personali trattati, riferiti alla carica di parlamentare e amministratore locale e regionale; 
  • le modalità con cui è stato effettuato il trattamento, con specifico riguardo all’operazione di “raffronto” dei dati personali dei soggetti richiedenti o beneficiari del bonus, con quelli riferiti alla carica di parlamentare e amministratore locale e regionale; 
  • l’ambito del trattamento ed eventuali comunicazioni a terzi di tali dati.

Se dunque è necessario aspettare l’esito dell’istruttoria avviata dal Garante, è indubbio che vi sia più di qualche perplessità sul rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali. Ciò che colpisce è senza dubbio il clamore suscitato dalla vicenda dal lato politico, mentre in pochi, e soprattutto quasi esclusivamente “addetti ai lavori”, si siano posti il problema delle modalità con le quali l’Inps sia giunto ad individuare questi nominativi.

Il sospetto, purtroppo, è che ad oggi la privacy resti ancora un terreno (quasi) inesplorato per molti.

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