Ada Lovelace, nata un pò più di 200 anni fa dal poeta Lord Byron e dalla matematica Annabella Milbanke, è stata la prima programmatrice della storia, e la prima ad aver parlato di intelligenza artificiale.
Lady Lovelace, nata e cresciuta a Londra, ricevette da Charles Cabbage, l’ideatore di una macchina analitica che era in grado di effettuare complesse operazioni matematiche, il compito di tradurre un articolo del famoso ingegnere Luigi Menabrea, uno dei più grandi scienziati italiani del XIX secolo, sul funzionamento della macchina, riuscendo ad aggiungere alcune note personali.
Menabrea in seguito nel 1867 divenne Presidente del Consiglio Italiano ed è considerato il recordman delle assemblee parlamentari italiane (ben 6 legislature come Deputato o Senatore) dietro il solo Giulio Andreotti, oltre ad essere l’inventore della tassa più odiata in Italia in due secoli, quella sul macinato, e del rigoroso principio del pareggio di bilancio.
Quando l’articolo di Lady Lovelace venne pubblicato nel settembre del 1843, le note della traduttrice risultarono essere due volte più lunghe del pezzo di Menabrea e contenevano le intuizioni illuminanti che oggi valgono ad Ada il titolo di prima programmatrice della storia[1].
Lady Lovelace infranse due tabu: le donne infatti non pubblicavano a quel tempo contributi scientifici (ed avevano problemi anche con i romanzi, come dimostra la pubblicazione anonima della prima edizione del Frankenstein di Mary Shelley) ed i contributi accademici non potevano essere modificati se non dagli Autori.
Per inciso i lettori (e le lettrici) avevano preso il vezzo di prendere l’articolo di Menabrea e di strapparne le parti originali per tenersi solo quello che aveva scritto la Lovelace. Le note della traduttrice erano il vero oggetto del desiderio del pubblico londinese.
Ada capì che una macchina, utilizzando precise istruzioni, avrebbe potuto superare il mero calcolo numerico ed in realtà “processare” ogni tipo d’informazione rappresentata da simboli.
Unendo i concetti dell’algebra logica di De Morgan, padre della logica booleana, Ada ipotizzò che la macchina potesse manipolare autonomamente ogni realtà rappresentabile in termini simbolici, come ad esempio la musica, la parola, ecc.
Ma non si fermò qui, la Lovelace andò oltre ed espose quello che oggi noi chiameremmo un “programma o algoritmo computerizzato”: dettagliò passo per passo i processi operativi, concependo di fatto “una libreria di subroutine di uso comune” usando le schede perforate.
Lovelace quindi inventò il concetto moderno di intelligenza artificiale.
Un secolo dopo il matematico Turing, nel corso di una conferenza che viene considerata l’avvio degli studi moderni sull’intelligenza artificiale citò la Lovelace, tributandole il giusto omaggio e permettendo che le note di quella esile pioniera della storia fossero messe in pratica negli anni ’50 del Ventesimo Secolo da un’altra donna, Grace Hopper, ad Harvard[2].
Molta acqua è passata sotto i ponti da quei “gloriosi giorni” eppure oggi le intuizioni di Turing di Lovelace e di altri studiosi sembrano trovare esplicita conferma.
L’intelligenza artificiale, sotto forma di algoritmi automatizzati, a partire dalle ricerche che facciamo su internet, permea la vita di tutti noi. E c’è già chi, come in una moderna corsa all’oro o alla conquista della luna, ha deciso di arrivare per primo.
Cosi come negli anni ‘40 dello scorso secolo vi era stata la corsa agli studi sulla bomba atomica che aveva visto (per fortuna di tutti noi) gli Stati Uniti prevalere sulla Germania nazista e negli anni ‘60 la grande sfida alla conquista delle stelle in cui il duello si è svolto tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, oggi le superpotenze attuali cercano di giungere nel più breve tempo possibile alle “killer application”, in grado di rendere la vita di tutti noi molto più semplice grazie alle macchine e di prevalere in ambito militare, commerciale e nella ricerca.
E’ questa la ragione per cui la Cina, ovvero la nazione che ha dato avvio nel 2017 a questa rincorsa, in una riedizione digitale del “Grande balzo in avanti”, ha deciso di investire miliardi di dollari in un programma denominato AI 2030, così come gli Emirati Arabi Uniti, che hanno lanciato un ambizioso programma di ricerca e sviluppo denominato AI 2031, ponendosi l’ambizioso obiettivo di poter resistere grazie alla blockchain ed all’AI a qualsiasi crisi finanziaria mondiale, oltre ad avere istituito un Ministero per l’intelligenza artificiale, e che più di venti Stati nel 2018, tra i quali Italia, Francia, Stati Uniti, Cina, Russia, Emirati Arabi, Corea del Sud, Svezia, Messico, Germania, Regno Unito, Giappone, Unione Europea, Paesi Baltici e Malta, hanno deciso di lanciare programmi nazionali strategici di implementazione alle tecnologie di intelligenza artificiale.
L’Intelligenza artificiale in settori strategici come la difesa, i processi giudiziari, il settore della ricerca medica è divenuta un elemento da cui non si può prescindere, ponendo però delicati quesiti di compatibilità con l’apparato giuridico esistente.
Ma insieme all’intelligenza artificiale si stanno affacciando in questo inizio di secolo una serie di nuove tecnologie, che potrebbero incidere anch’esse profondamente sul modo in cui viviamo.
La blockchain, che in realtà mette insieme in maniera innovativa tecniche utilizzate da tempo nel campo dell’informatica, è stata originariamente proposta nel 2008 quale strumento per realizzare un sistema decentralizzato di pagamento, sulla scia della corrente cypherpunk.
L’idea centrale che gli ideatori di Bitcoin volevano realizzare era la disintermediazione delle transazioni da parte delle istituzioni finanziarie, consentendo transazioni one-to-one tramite meccanismi di fiducia distribuita.
E’ proprio la volontà di superare la necessità della presenza delle istituzioni, che trova i suoi precursori nelle teorie di Locke e del liberismo, poi riprese ed accentuate in Hayek e nella scuola austriaca ed estremizzate nel modello del capitalismo anarchico, soprattutto con le opere di Rothbard, in cui si teorizza l’eliminazione dello Stato quale intermediario – immorale – dei rapporti sociali e la creazione di un sistema di economia diretta tra privati, che si pone alla base del pensiero che ha reso possibile lo sviluppo di Bitcoin ed, insieme a questo, della blockchain oggi più diffusa.
Ma da quello che originariamente era stato ideato quale strumento di pagamento decentralizzato finalizzato a scongiurare la creazione di “super-entità”, accentratrici dei dati ed in grado pertanto di pervadere la vita degli utenti della rete, la blockchain ha dimostrato e sta dimostrando di poter svolgere numerose altre funzioni che si spingono oltre alla mera regolazione di transazioni finanziarie tra soggetti distanti.
Nonostante siano passati quasi dieci anni dalla teorizzazione e poi messa in opera di Bitcoin, è solamente in questo ultimo periodo che si stanno cominciando ad esplorare le potenzialità di questa tecnologia in settori diversi da quello finanziario. Ciò, probabilmente, perché la blockchain richiede un cambiamento di paradigma, nel senso prospettato da T.S. Kuhn, della comunità scientifica sia tecnica sia umanistica. Ciò che rende veramente rivoluzionaria la blockchain è la capacità di rendere scarse risorse illimitate, quali i bit ed in genere le informazioni digitali, nel contempo fornendo dei meccanismi di fiducia che il mondo dei servizi online, così come fino ad oggi lo conosciamo, aveva affidato a soggetti con il ruolo di intermediari.
Così mentre attualmente vi sono alcuni soggetti che accentrano la gestione dei nostri dati personali, ricavando profitto dalla loro analisi ed utilizzo, in modalità alcune volte poco trasparenti e che non ci consentono di aver contezza dei percorsi che essi fanno, l’utilizzo della blockchain potrebbe portare ad una nuova idea di identità digitale, in cui effettivamente ritrovare la possibilità di esprimere la propria libertà e potestà sulle informazioni che ci appartengono; parimenti, i modelli di business che attualmente si fondano sull’intermediazione di servizi (di pagamento, ma anche relativi al trasporto delle persone (Uber), allo scambio di immobili (Airbnb), alla fruizione di contenuti digitali (Spotify, Itunes, Netflix) ed i media online), potrebbero essere soppiantanti da un nuovo modello decentralizzato, in cui i titolari di alcuni diritti possono dialogare direttamente con coloro che vogliono usufruire dei servizi, ponendo in essere le transazioni senza la necessaria presenza di un intermediario che oggi ha il ruolo di infondere fiducia nel buon esito delle stesse.
Siamo, evidentemente, all’inizio di un percorso che porterà alla definizione di nuovi modi di utilizzare la rete, un Internet 3.0 in cui quelli che una volta venivano definiti “internauti”, termine oramai in disuso e che, forse in conseguenza della progressiva commercializzazione del medium, è stato sostituito con “utenti”, avranno la possibilità di dialogare direttamente tra loro, in un meccanismo di fiducia distribuita circa l’affidabilità – in senso telematico – delle rispettive controparti, assicurata dalla tecnologia stessa.
La capacità, inoltre, di dare sostanza alle cose all’interno di un mondo fatto di bit, tramite quella che viene chiamata “tokenizzazione” di beni immateriali o materiali, ci riporta a pensare alle considerazioni di alcuni critici della proliferazione degli strumenti tecnologici che al contempo affermavano che “abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che dall’assenza nasce la potenza”[3]. Proprio il meccanismo di scarsità, di corrispondenza biunivoca tra il bene (o diritto) rappresentato sulla blockchain e la sua corrispondenza nel mondo reale, rappresenta il superamento del concetto di simulacro, consentendo di far coincidere la realtà virtuale con quella reale. Con la blockchain la mappa non può definire il territorio, perché i riferimenti contenuti nella stessa mappa hanno sempre una loro corrispondenza nella realtà (in termini o giuridici o fattuali).
Il testo “Il diritto della blockchain, intelligenza artificiale e IoT” affronta queste sfide, concentrandosi sugli sforzi che a livello internazionale si stanno mettendo in atto per tentare di dare una regolamentazione giuridica al tema dell’intelligenza artificiale, della blockchain e dell’Internet of Things. L’esame si concentra sui singoli aspetti che coinvolgono i profili di diritto: dalla proprietà intellettuale, ai profili di diritto penale, alla tutela dei diritti umani dal potere sempre più invasivo degli algoritmi automatizzati, sino agli istituti di democrazia diretta digitali. Vengono presi in considerazione anche i recenti fenomeni, tentandone una ricostruzione giuridica, come le criptovalute, le Initial Coin Offering ed in generale le tematiche ed i problemi che queste nuove tecnologie pongono all’operatore del diritto ed al regolatore.
Il tutto nella consapevolezza che trattasi di tematiche che stanno ricevendo solamente in tempi recenti la dovuta attenzione e che, con molta probabilità, ci saranno ancora molte riflessioni da svolgere e lavoro da fare, e tenendo ben presente che l’incentivazione dell’innovazione e del progresso non può fare a meno di ciò che Heidegger definì il “pensiero meditante” come esortazione ad ascoltare il linguaggio dell’essere affinché la tecnologia rimanga sempre al servizio dell’uomo e non finalizzata a se stessa.
[1] S Malnati , Le previsioni di Ada Lovelace che si sono avverate, Wired 10 dicembre 2015
[2] S Bianchi, Ada Lovelace nel 1800 ha immaginato il computer di oggi
[3] J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, 1996.
Per approfondire