Nel campo delle tecnologie informatiche è sempre tempo di parole nuove, che vanno per la maggiore per un certo periodo, per essere poi soppiantate da altre più alla moda e, dunque, più attrattive. L’affermazione di questi nuovi termini, che denotano tecnologie più o meno innovative, è sempre accompagnata da una comunicazione mediatica volta ad esaltarne i vantaggi, focalizzandosi soprattutto sul risparmio dei costi e sull’apertura di mercati milionari. Una vera ventata di ottimismo, che spesso però dimentica di affrontare, almeno nelle fasi iniziali, le implicazioni umane (a volte anche critiche) che l’uso di queste tecnologie comporta.
Al momento, a parte questo ottimismo dirompente, non è ad esempio chiaro quale siano gli effettivi benefici che la blockchain può portare, tenuto conto che saranno le sperimentazioni in corso a dare risultati e delucidazioni in merito, in termini sia di vantaggi che di rischi. Unica cosa che sembra certa è che quasi tutti i servizi fisici di intermediazione potrebbero essere rimpiazzati da processi interamente digitali.
Blockchain, che cos’è?
Prima di tutto, di cosa stiamo parlando? La blockchain è una tecnologia informatica (anche se c’è chi preferisce parlare di soluzione) che ha cominciato a richiamare l’attenzione in questi ultimi anni ed il cui impiego potrebbe comportare un profondo cambiamento nel sistema economico, e non solo. La caratteristica di questa tecnologia, che è anche alla base della più famosa cripto-valuta, il bitcoin, è la capacità di registrare in modo assolutamente affidabile tutte le transazioni svolte nell’ambito di un processo, dal momento che le informazioni vengono verificate e crittografate ad ogni passo del processo, archiviate in una sorta di registro contabile replicato da molti nodi della rete e pubblicamente verificabili da tutti.
In questo modo gli intermediari delle transazioni, come ad esempio le banche, sono sostituiti da protocolli di comunicazione in grado di certificare le transazioni. Va da sé che il superamento della figura dell’intermediario, sia esso un professionista o un’istituzione, rivoluziona il concetto di fiducia, che ha implicazioni squisitamente umane, dal momento che tale concetto rimanda ad una dimensione soggettiva e all’esperienza personale dell’individuo.
Blockchain, a chi diamo la nostra fiducia
Nel caso della blockchain a garantire la fiducia è un algoritmo, un calcolo matematico.
Ma attenzione, se è vero che viene a mancare l’intermediario tradizionale, la fiducia va comunque riposta sia verso chi implementa e verifica il codice che effettua i calcoli, sia nei confronti di chi gestisce l’infrastruttura tecnologica. Tutte queste attività sono condotte da esseri umani; la questione, quindi, è quanto siamo disposti a fidarci di questi esseri umani, che sono “fallibili” così come lo sono gli intermediari fisici che sostituiscono. Senza contare un altro aspetto assolutamente rilevante per le blockchain che supportano le transazioni di beni fisici, ovvero la fiducia risposta nell’intermediario che garantisce la qualità del bene fisico coinvolto.
Ora, il risparmio di costi di cui tanto si parla e che dovrebbe derivare dall’eliminazione delle terze parti – bisognerà comunque considerare gli investimenti iniziali per l’introduzione della blockchain – è uno degli elementi che probabilmente può favorire questo spostamento di fiducia, ma non vanno comunque sottovalutati gli aspetti sociali e culturali degli utenti che si affidano alla blockchain.
Infatti, finché della questione ne parlano ingegneri ed esperti di tecnologie informatiche è un conto, ma poi tutto questo va trasferito ad una popolazione variegata, fatta di persone che non necessariamente sono informate sulle innovazioni tecnologiche e capaci di comprenderne tutti gli aspetti. L’introduzione di una nuova tecnologia informatica, soprattutto se non accompagnata da un’adeguata informazione, rischia di essere percepita addirittura come una minaccia, con il rischio di essere mal applicata.