E’ lecito tassare una criptovaluta che non ha corso legale? O meglio ancora, è lecito tassare le criptovalute? Ancora nel 2021 dopo oltre 4 anni dalle prime circolari e studi a tal senso da parte dell’autorità fiscale italiana, la questione risulta controversa.
Per comprendere bene questo concetto è necessario osservare attentamente alcune caratteristiche endemiche della “moneta” oggi sulla bocca di molti.
A parte il caso ancora isolato di El Salvador che il 7 Settembre 2021 ha introdotto il corso legale per bitcoin, in tutte le altre nazioni esso non possiede ancora tale attributo che ne connota la obbligatorietà tra le parti in merito al proprio utilizzo ed accettazione in pagamento relegando la sua circolazione alla pura convenzionalità.
Al contrario una valuta a corso legale, oltre che essere riconosciuta come tale dalla legge, è definita anche “a corso forzoso” ossia obbligatoriamente accettata in pagamento.
Altro aspetto fondante delle valute aventi corso legale è che la loro circolazione sempre garantita dalla Banca Centrale. Esse rappresentano valute di Stato, ne sono esempi il Dollaro, l’Euro e tutte le altre.
Anche questo secondo elemento peculiare, riferendoci alle criptovalute, non è riscontrabile. Nessuna autorità pubblica emette bitcoin (o altre criptovalute). Nessuna autorità governa o sorveglia la loro circolazione.
Sono tutti i partecipanti alla comunità, e quindi i nodi della rete di bitcoin, che sostengono il sistema in modo decentralizzato.
Il consenso e la libera negoziazione tra i privati determinano il valore di una criptovaluta.
Il mercato, composto da tutti quei soggetti che decidono di scambiare quella criptovaluta, è il sistema decentralizzato che ne influenza democraticamente le dinamiche.
Dato per assodato che le criptovalute non presentano le stesse caratteristiche della valuta legale è necessario interpretare la posizione assunta dalla Agenzia delle Entrate in merito alla loro tassazione.
Nella famosa risposta all’interpello del 2018, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, ha stabilito che esse debbano essere equiparate ad asset e valute esteri e per tale motivo debbano essere inserite all’interno del quadro RW della dichiarazione dei redditi. Inoltre il possessore delle stesse, qualora a causa delle oscillazioni di valore dovesse ottenere un capital gain, sarà obbligato a corrispondere allo Stato tasse per una corrispondente aliquota del 26%!
Ma se le criptovalute non sono “valute”, né tantomeno estere verrebbe da dire, non presentando nessuna delle caratteristiche che invece delineano queste ultime, allora perché tassarle tra l’altro alla stregua di un prodotto finanziario?
Questa ed altre contraddizioni sono ancora troppo evidenti all’interno di questo settore. Solo una profonda e completa attività di regolamentazione normativa, potrà riunificare le diverse interpretazioni sul tema e fornire le adeguate garanzie a comuni possessori e ad aziende impegnate a costruire modelli di business su infrastrutture basate su questa incredibile tecnologia che è la blockchain, capace di abilitare ed efficientare processi virtuosi in moltissimi ambiti.