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Big Data, Posteraro (Agcom) ‘Le piattaforme hanno assunto un potere dominante su consumatori e concorrenza’

L’indagine conoscitiva presentata oggi alla Camera dei deputati da Agcom mette in luce le profonde trasformazioni indotte nell’ecosistema digitale dalla raccolta e dall’utilizzazione dei Big Data. Trasformazioni che sono caratterizzate, da un lato, da fattori ed elementi positivi in termini di progresso tecnologico e di crescita economica, ma anche, d’altro lato, da fondati motivi di preoccupazione dal punto di vista della tutela dei diritti individuali e dell’equilibrio dei mercati.

I Big Data, infatti, hanno certamente rappresentato e rappresentano un potente stimolo all’innovazione, determinando la creazione e lo sviluppo di un numero sempre maggiore di servizi, fruibili attraverso dispositivi le cui funzionalità sono state enormemente accresciute proprio a questo fine. Ne è derivato, com’è ovvio, un notevole incremento della domanda di accesso ad internet da parte degli utenti, il che ha a sua volta stimolato gli investimenti volti ad aumentare la qualità e la capacità della rete.

Si è messo in moto, insomma, un “circolo virtuoso dell’innovazione”, come lo ha definito la Federal Communication Commission, che ha senza dubbio contribuito non poco alla creazione di valore in termini economici.

C’è da dubitare, invece, del fatto che effetti ugualmente benefici si siano riscontrati sotto altri versanti, quali la tutela della privacy, la concorrenzialità dei mercati, perfino la libertà di iniziativa economica.

Nei riguardi dei consumatori, l’utilizzo delle app dà luogo a una transazione del tutto diseguale, nella quale l’utente è consapevole del servizio che acquista (tra l’altro una tantum), ma non di quello che cede in cambio, ossia i propri dati, né, tanto meno, del loro valore economico e di come essi saranno impiegati (questa volta non una tantum, ma in modo dinamico e continuativo). Dati che, considerati nel loro complesso, permettono di desumere informazioni di natura non dissimile da quelle considerate sensibili dalla normativa europea e nazionale.

Per altro verso, con riferimento ai profili concorrenziali, la dimensione enorme dei dati ha accelerato a dismisura processi di integrazione e di concentrazione in capo a soggetti – le piattaforme – che raccolgono i dati, li conservano, li organizzano, li analizzano, ne traggono informazioni, utilizzano queste ultime e le vendono ad altri. Le piattaforme hanno così acquisito una posizione dominante in tutti i mercati online: ne controllano di fatto l’accesso e nel contempo esercitano un’influenza determinante sulla remunerazione degli altri operatori ai quali fanno concorrenza.

Le piattaforme, insomma, hanno acquisito – nei confronti sia degli individui, sia delle imprese concorrenti – un peso e un potere che trova pochi riscontri nella storia economica e che non fatica, quindi, a tradursi in potere politico.

Tutto ciò impone un ripensamento del paradigma della regolamentazione, il cui focus dovrà essere spostato dalle infrastrutture – e dalla loro apertura per favorire l’ingresso di nuovi operatori nel mercato – al consumatore, o meglio all’individuo, e alla tutela dei suoi diritti.

In secondo luogo, occorre considerare che la dimensione transnazionale dei mercati impone l’esigenza di un coordinamento tra organi di Paesi diversi. Consapevole di ciò, Agcom ha aderito alla Digital Clearing House, rete che unisce le Autorità degli Stati dell’UE dotate di competenze in materia di regolamentazione del settore digitale.

Oltre al coordinamento orizzontale, e forse anche più di questo, occorre però un quadro normativo coerente e aggiornato a livello europeo. Un quadro normativo adeguato al ruolo svolto oggi dalle piattaforme, che sia in grado di assicurare sia una effettiva competizione nei mercati, sia una concreta tutela dei diritti degli utenti.

Le risposte fornite finora dalle Istituzioni europee a questa esigenza non sono state, purtroppo, le più incoraggianti. Il regime della responsabilità delle piattaforme è ancora quello della direttiva sul direttiva sul commercio elettronico, che risale al 2000, e dunque a un’epoca ormai remota e del tutto superata in termini di sviluppo delle tecnologie. Continua così a prevalere ancora un approccio caratterizzato da interventi settoriali e da una fiducia nell’autoregolamentazione che appare eccessiva e non suffragata dai risultati.

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