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Big data, l’innovazione urbana passa per la condivisione dei dati personali

In Italia abbiamo 1.311 progetti smart city avviati per 3,7 miliardi di euro investiti. Sono i dati aggiornati della piattaforma Italian Smart Cities dell’Associazione nazionale comuni italiani. Iniziative che coinvolgono più di 15 milioni di abitanti e che vertono principalmente sulla mobilità urbana, l’efficienza energetica e la pianificazione e la governance dell’innovazione in ambito urbano.

Tanti piccoli e grandi progetti che però appaiono frammentati a livello nazionale, scollegati tra loro, senza una roadmap precisa, senza una cabina di regia e con forte valenza locale. Guardando ad altre realtà metropolitane in giro per il mondo, si nota invece una maggiore presenza di aziende internazionali, lo sviluppo di piani a lungo termine e l’affermazione di partnership pubblico-privato piuttosto efficaci, con il coinvolgimento di cittadini, centri ricerca e innovatori.

Secondo uno studio dell’Economist Intelligent Unit, riportato dal Corriere della Sera e relativo a 12 smart cities globali, sembrerebbe che i cittadini inizino a dare consenso a questi accordi pubblico-privato. Le nuove tecnologie fornite generalmente dai fornitori più grandi sul mercato non mettono più paura e soprattutto dai dati emerge la tendenza all’accettazione della condivisione dei dati personali finalizzata al raggiungimento degli obiettivi smart city della città.

Londra, Berlino, Barcellona, Buenos Aires, Los Angeles, Chicago, Città del Messico, shanghai, New York, Rio de Janeiro, Singapore e Toronto, sono le 12 città sottoposte all’indagine dell’Economist relativa all’avanzamento dei progetti smart city negli ultimi 3 anni.

Dai risultati è emerso che il 36% dei cittadini ha toccato con mano un miglioramento dei servizi di telecomunicazione, il 31% nei trasporti, il 21% nella prevenzione del crimine e nei servizi sociali. Alla domanda ‘condividerebbe i suoi dati personali allo scopo di risolvere i tanti problemi della sua città?’, più del 39% ha risposto positivamente, ‘Sì se serve per ridurre la congestione del traffico’, il 37% si è detto disposto se utile alla lotta alla criminalità, il 36% per migliorare la sanità e l’istruzione, il 35% per diminuire l’inquinamento e il 34% per rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione.

I big data dunque sdoganati? È presto per dirlo, ma certo questi risultati lasciano intendere una maggiore propensione dei cittadini ad accettare la presenza delle imprese e della grande industria nella propria vita. Nel suo commento ai risultati dello studio, il quotidiano italiano avanza l’ipotesi di una nuova idea di governo dell’innovazione e della città, dove alle forze istituzionali tradizionali si possano in un futuro prossimo affiancare anche le aziende.

Un’ipotesi che, a seconda dei punti di vista, può affascinare o inquietare. Rimane il problema di fondo della trasparenza e della partecipazione alla governance dei processi di innovazione in ambito urbano di cittadini e associazioni. L’unico modo per questi ultimi di evitare che l’interesse privato prevalga su quello collettivo è partecipare, più che condividere.

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