Cloud e streaming vanno sempre più a braccetto. Nel giro di poche settimane due dei più importanti fornitori di servizi streaming, Netflix e Spotify, hanno annunciato la migrazione sul cloud dei loro servizi.
Il mese scorso Netflix ha annunciato d’aver completato la migrazione sul cloud. Ci sono voluti sette anni di lavoro per portare a compimento questo passaggio e chiudere anche gli ultimi data center utilizzati per offrire il servizio di video streaming.
Una soluzione non più rinviabile per il gruppo americano, presente anche in Italia dallo scorso ottobre, vista la crescita esponenziale dei suoi abbonati che sono ormai 75 milioni nel mondo, del consumo di streaming e dei contenuti offerti.
Per il cloud, la compagnia americana ha scelto le soluzioni offerte da Amazon Web Services.
Qualche settimana dopo anche Spotify, società svedese che fornisce musica in streaming, ha comunicato la migrazione sulla piattaforma cloud di Google.
Il passaggio coinvolge tutta l’infrastruttura IT e tutto ciò che riguarda la raccolta, archiviazione e analisi dei dati dei propri utenti.
La scelta di puntare su Google non è solo dovuta al prezzo più conveniente del servizio, ma quanto a quella di gestire al meglio i big data.
Fouad Maach, manager e responsabile per il cloud di Beamap, spiega che l’offerta di Google è matura. Se Amazon Web Services (AWS) resta migliore per altri aspetti, il servizio di Google ha una marcia in più in termini di analisi in tempo reale dei dati.
Come se ne potrà avvantaggiare Spotify?
Intanto precisa Christophe Baroux, responsabile della Google Cloud Platform in Europa del Sud, Medio Oriente e Africa, di sapere che tipo di musica e cantanti ascolta l’utente in modo da offrire consigli mirati.
Una soluzione chiave per Spotify per trattenere sempre di più gli utenti sulla propria piattaforma.
Google ha così soffiato un grosso cliente ad Amazon che lavorava da diversi anni con il gruppo svedese che però ha deciso di continuare a mantenere i file musicali su Amazon Simple Storage Service e la distribuzione dei contenuti attraverso Amazon CloudFront.
“Quando sviluppate i vostri servizi attraverso una piattaforma cloud, create dei legami con questa. La scelta di lavorare con Google e Amazon gli evita di mettere tutte le uova nello stesso paniere“, ha indicato Mathieu Poujol, consulente di Pierre Audoin Consultants.
Al momento 250 mila account sono già stati trasferiti sul cloud di Google per la fase test mentre bisognerà attendere 18 mesi per la migrazione totale. Spotify conta 30 milioni di abbonati e diverse decine di milioni di utenti che accedono all’offerta gratuita.
Netflix ha invece preferito Amazon anche se, a parte le coordinate bancarie dei propri utenti, ha duplicato tutti i propri dati anche su Google Cloud Storage.
Così, in caso di incidenti tecnici, l’applicazione sarà in grado di ripartire in qualche giorno.
Netflix adesso si occupa solo della distribuzione dei contenuti verso gli utenti.
Il passaggio al cloud ha portato quindi diversi vantaggi. Il gruppo osserva: “Abbiamo un numero di abbonati in streaming otto volte superiore a quello del 2008 e una maggiore attività degli utenti, con una visione di contenuti triplicata in otto anni”.
Bisognerà poi considerare anche l’arrivo di tanti nuovi clienti, visto che Netflix è sbarcato in altri 130 Paesi portando così la propria presenza in 190 Stati tra i quali India, Pakistan, Russia, Turchia, Bulgaria, Sud Africa, Israele e Corea del Sud.
I data center non potevano più contenere l’esplosione di questo servizio di streaming mentre il cloud permette di aggiungere migliaia di server virtuali e petabyte di archiviazione in pochi minuti, migliorando anche le prestazioni dell’offerta di Netflix.
Christophe Baroux ha sottolineato che Netflix e Spotify devono gestire un notevole traffico di dati.
Negli Stati Uniti nelle ore di punta serali un terzo del consumo di banda è legato a Netflix.
“Il cloud è adatto a fornire maggiore capacità di banda quando serve e ridurla quando non ce n’è bisogno”.