Il modo in cui interagiamo con il mondo che ci circonda è cambiato radicalmente negli ultimi 20 anni. E’ opportuno analizzare la stessa esperienza in due periodi differenti. Agli albori del nuovo millennio vedere un film avrebbe significato scegliere il titolo su un cartellone pubblicitario, avere effettuato la fila al botteghino per acquistare i biglietti (acquisto effettuato in contanti) e per un paio d’ore durante la visione del film essere rimasti sconnessi dal resto del mondo.
Che aspetto ha questa esperienza oggi? La scelta del film, influenzata da sistemi di raccomandazione, avverrebbe online. L’acquisto dei biglietti avverrebbe tramite ausilio di una app. Durante la visione del film si interagirebbe con il resto del mondo via Facebook o Instagram. Alternativamente lo stesso film potrebbe essere visto in streaming da casa. Tale esperienza indica come l’essere umano sia divenuto sorgente di dati.
Non solo gli individui generano dati, una quantità enorme di dati è creata lungo la catena del valore di qualsiasi settore industriale.
Durante il processo di produzione, ad esempio, le fabbriche sono dotate di sensori che valutano o tracciano continuamente le prestazioni di ogni macchina e tracciano le parti che attraversano il processo di assemblaggio. Per questo motivo, l’ammontare mondiale d’informazioni o dati è esploso.
Negli anni ’80 e ’90 la capacità di archiviazione installata al mondo cresceva costantemente del 20% circa all’anno. È interessante notare che a quel tempo oltre il 95 percento delle informazioni memorizzate era analogico e solo il 5 percento digitale. E’ quindi avvenuto un cambiamento epocale: il digitale ha iniziato a diventare il formato di archiviazione predefinito per informazioni.
Nel 2000 rappresentava già il 25 percento delle informazioni memorizzate totali, circa 55 exabyte. Nel 2007 le informazioni digitali sono esplose per raggiungere il 94 percento della capacità totale di archiviazione mondiale, circa 300 exabyte di dati. Oggi tale valore ha già superato i 4.000 exabyte e IDC prevede che questo numero raggiungerà i 40 zettabyte entro il 2020. Si tratta di 40.000 exabyte.
Cosa è realmente tale enorme ammontare di dati noti come Big Data? I Big Data sono generalmente definiti da tre V. I big data sono grandi. Quindi prima di tutto sono definiti dal loro Volume. In secondo luogo, i dati non vengono raccolti solo durante le interazioni strutturate, quando si compila un modulo online o si utilizza la carta di credito. Sempre più dati vengono archiviati in formati non strutturati: immagini, discorsi in varie lingue, video etc. I big data sono definiti dalla Varietà. Ultimo ma non meno importante, i big data sono prodotti in tempo reale. Quindi sono definiti dalla Velocità. I Big Data possono quindi essere definiti come enormi quantità di dati non strutturati e in rapido movimento.
E’ necessario aggiungere un’ulteriore V all’elenco precedente, quella di Valore. Solo perché un’azienda ha una pletora di server in cui esegue il dump di ogni singolo dato, non la rende una grande azienda di dati. Un’azienda deve essere in grado di tradurre quei dati in un vantaggio competitivo per creare valore e impatto sul business.
I Big Data sono utilizzati in diversi settori. L’uso più comune di Big Data è probabilmente nell’ambito della personalizzazione dell’offerta, i Big Data sono impiegati dalle aziende per conoscere i propri clienti e offrire loro soluzioni personalizzate. Aziende come Amazon sono chiari esempi.
Dall’osservazione dei clienti attraverso le lenti dei Big Data, le organizzazioni sono in grado di discernere le relative abitudini e quindi migliorare la loro esperienza di acquisto e predisporre raccomandazioni personalizzate. Netflix ne rappresenta un esempio ovvio.
La riduzione delle frodi è un altro esempio di come i Big Data possono essere utilizzati per creare valore. Aziende di carte di credito come Visa analizzano miliardi di transazioni per identificare pattern insoliti e quindi ridurre le frodi in tempo reale.
È anche possibile utilizzare i Big Data nell’ambito della manutenzione predittiva. Un’azienda utilizza i dati raccolti sulle operazioni per analizzare le prestazioni e predire l’insorgenza di problemi prima che accadano. Le aziende leader nei Big Data generano in media il 12% di entrate in più rispetto alle aziende che non sfruttano il valore dei Big Data.
L’impiego legittimo dei Big Data secondo le finalità economiche per cui sono raggruppati è necessario che sia regolamentato alla luce dell’enorme valore che in essi risiede. Le degenerazioni nell’impiego dei Big Data possono compromettere, nel caso più lieve, la fiducia che i clienti ripongono nell’operato delle aziende; o nel caso più grave, causare danni all’elemento più debole della catena del valore e cioè il cittadino consumatore, paziente e votante.
Nelle tutele dell’anello debole della catena del valore rientrano la privacy e le libertà individuali. Al fine di garantire le suddette tutele, le attività di controllo e di sanzione delle Agenzie Governative preposte è necessario che siano rafforzate e adeguate con strumenti normativi e finanziari adeguati.