Il nostro Dna (acido desossiribonucleico o deossiribonucleico), che per natura è un database di informazioni utili ad una corretta crescita dell’organismo, potrebbe benissimo ospitare grandi celle di dati. Come fosse un hard disk dove memorizzare tutto, il nostro Dna ci darà la possibilità di fare un bel santo in avanti nelle tecniche di data storage che sfruttano le biotecnologie.
Non si tratta di una vera e propria novità, perché il sogno di immagazzinare dati in piccolissime sezioni di Dna, magari sfruttando le basi nucleotidi, richiamandoli successivamente grazie ad un codice a barre assegnatogli in fase di “inscrizione”, viene da lontano e attira sempre nuovi ricercatori perché l’obiettivo finale potrebbe anche essere la trasformazione dei dati digitali in biologici e viceversa.
Alla fine di quest’anno il mondo sarà in grado di archiviare solo il 18% di tutti i dati generati, ha dichiarato la ricercatrice Karin Strauss. Questo significa due cose: siamo carenti di infrastrutture e strutture per la raccolta/elaborazione dati; la nostra capacità di archiviare informazioni non riesce a stare al passo della velocità con cui i dati sono generati ogni minuto che passa.
L’Università di Washington sta portando avanti uno studio dedicato al Dna storage. Il Dna ha una capacità di archiviazione illimitata e soprattutto a lunghissima scadenza. Per arrivare a questo serve un utilizzo maggiore delle biotecnologie. Sono queste che ci aiutano a memorizzare i dati e le informazioni nella sequenza dell’acido nucleico del Dna. L’archiviazione degli stessi avviene a livello molecolare, sfruttando la sintesi e il sequenziamento del Dna.
Si stima che a breve sarà possibile archiviare per lungo tempo 1 exabyte di dati per millimetro cubo di Dna. Per il momento l’ateneo dello Stato di Washington è riuscito ad archiviare nel Dna circa 400 megabyte di dati relativi a 100 libri del progetto Guttenberg, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in 100 lingue, un video musicale in alta definizione e alcune canzoni registrate al Montreal jazz festival.
Si tratta di riuscire a sintetizzare grandi quantità di dati su supporti biologici, su depositi liquidi di lunga durata, quasi indistruttibili, con una vita stimata in 500 anni. Se poi il tutto venisse depositato in una cella asciutta a basse temperature, i dati inscritti nel Dna potrebbero sopravvivere per almeno 2000 anni.
Tecnicamente, spiegano i ricercatori, gli stessi data center di dimensioni pari a 20 mila metri quadri potrebbero ridursi alle dimensioni di un paio di dadi da gioco.
Negli ultimi anni, in un progetto analogo della Columbia University e del New York Genome Center, è stata sfruttata una tecnologia di sequenziamento e codifica del Dna “ad alta densità” che ha permesso di archiviare in un grammo di Dna oltre 215 petabyte di dati.