L’Italia tenta la strada delle gigafactory
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza o PNRR prevede diversi interventi e strumenti di sostegno e innovazione per l’industria italiana automotive, tra cui il segmento fondamentale delle batterie e dei sistemi di accumulo.
Per le nuove gigafactory nazionali il ministero dello Sviluppo ha messo, in collaborazione con l’Enea, a disposizione 500 milioni di euro.
Obiettivo dell’iniziativa è “favorire il dialogo e l’interazione tra le aziende che a tutti i livelli fanno parte della filiera, al fine di favorire sinergie e sviluppare partnership nel settore delle batterie”.
Serve una filiera nazionale
La transizione ecologica della mobilità e dei trasporti non può non passare per la loro elettrificazione e quindi per un esteso e capace sistema di produzione di batterie di nuova concezione, sempre più efficienti, meno costose e che impiegano un minor quantitativo di materie prime.
Tutto questo è possibile solo attraverso investimenti che consentano di aumentare la produzione nazionale su tutta la filiera delle batterie, dai componenti principali ai sistemi per l’efficientamento ed il monitoraggio.
Grazie al PNRR è stata finanziata la Gigafactory di Termoli (Campobasso) di Stellantis, mentre con gli Ipcei (Importanti progetti di comune interesse europeo) si sono sostenuti i progetti della Seri Industrial per l’investimento nella Gigafactory di Teverola (Caserta) e della Midac di Soave (Verona).
Materie prime critiche, sempre più scarse e troppo legate alle forniture estere
Parlavamo delle materie prime, che sono sempre più nell’occhio del ciclone a causa della guerra in Ucraina e delle tensioni geopolitiche globali. Tra queste, però, ci sono anche quelle considerate “critiche” (Critical Raw Materials) che secondo uno studio Erion – The European House Ambrosetti potrebbero essere all’origine di seri problemi per il funzionamento della nostra industria.
Ad esempio, nel nostro Paese, ben 26 CRM su 30 sono indispensabili per l’industria aerospaziale (87% del totale), 24 per quella ad alta intensità energetica (80%), 21 per l’elettronica e l’automotive (70%) e 18 per le energie rinnovabili (60%).
“Lo studio fa emergere con chiarezza la sempre più crescente importanza strategica delle materie prime critiche, testimoniata anche dal fatto che la Commissione Europea ne identificava 14 nel 2011, numero salito a 30 nell’ultimo censimento del 2020. Le materie prime critiche, oltre a essere fondamentali per numerose attività industriali, sono anche un prerequisito essenziale per lo sviluppo di settori innovativi e ad alto potenziale, in quanto utilizzate nelle turbine eoliche, nei pannelli fotovoltaici e nelle batterie”, ha dichiarato Lorenzo Tavazzi, Partner di The European House – Ambrosetti e responsabile dell’Area Scenari.
Il valore del riciclo e riuso
Uno scenario non così improbabile, purtroppo. La produzione industriale italiana dipende, infatti, per 564 miliardi di euro (pari a circa un terzo del PIL al 2021) dall’importazione di materie prime critiche dai Paesi fuori dell’Unione. Uno scenario aggravato anche dall’attuale contesto di conflitto russo-ucraino: l’Italia importa dalla Russia palladio (35%), rodio (33%), platino (28%) e alluminio primario (11%).
Molto peggio per l’intera Unione europea dove le materie prime critiche contribuiscono ad un valore di produzione pari a 3 trilioni di euro e anche in questo caso la dipendenza dai Paesi esteri è notevole: la Cina fornisce il 44% delle forniture di Crm e il 98% delle terre rare (che per l’industria italiana valgono più di 50 miliardi di euro).
La strada virtuosa dei RAEE
Per rafforzare la nostra (seppur debole) autonomia di materie prime si può intanto partire da quello che buttiamo via troppo superficialmente come rifiuto. Con 55,5 milioni di tonnellate prodotte a livello globale nel 2020 e una previsione di crescita al 2030 pari a 75 milioni di tonnellate, i Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE), da cui si possono ricavare materie prime critiche, rappresentano un’importante fonte alternativa di approvvigionamento per l’industria, senza contare che ci sarebbero notevoli miglioramenti anche per la salute dell’ambiente (al tasso di recupero UE si eviterebbero secondo gli studiosi almeno 1 milione di tonnellate di CO2, con benefici economici per le comunità quantificabili in 200 milioni di euro).
Se l’Italia raggiungesse il tasso di raccolta dei best performer europei (70-75%), si potrebbero recuperare quasi 8 mila tonnellate di materie prime critiche. Se invece manteniamo l’attuale tasso di raccolta che non supera il 40% entro il 2025 perderemmo almeno 280 mila tonnellate di materie prime recuperabili.