La proroga di sei anni (dal 2023 al 2029) dei diritti d’uso delle frequenze in banda 3.4-3.6 Ghz – la banda gemella della banda 3.6-3.8 Ghz pioniera del 5G, acquisita a carissimo prezzo dagli operatori alla recente e sanguinosa asta italiana – ha sollevato un polverone. Vodafone e Iliad hanno fatto ricorso al Tar del Lazio contro il parere dell’Agcom, che ha ricevuto il nullaosta dal Mise, per concedere la proroga dei diritti d’uso delle frequenze 3.4-3.6 Ghz alle aziende Aria (Gruppo Tiscali), Go Internet, Linkem, e Mandarin.
In seguito, Fastweb ha rilevato 40 Mhz in banda 3.5 Ghz e la rete Fixed Wireless Access da Tiscali per 150 milioni, una cifra in proporzione inferiore a quanto sborsato all’asta 5G per la banda gemella 3.6-3.8 Ghz dai concorrenti. Concorrenti che durante l’asta si sono dati battaglia a suon di rilanci, seguendo strategie di gara in alcuni casi ondivaghe sui due lotti da 80 Mhz e 20 Mhz. Strategie di gara rischiose, che alla fine hanno contribuito a far lievitare il conto dell’asta 5G di ben 4 miliardi rispetto ai 2,5 miliardi previsti nella Legge di Bilancio.
Ma l’iter della proroga della banda 3.4-3.6 Ghz non ha nulla a che vedere con l’asta 5G e di fatto è chiuso, in attesa del giudizio del Tar. Tanto più che un dietrofront avrebbe avuto effetti disastrosi per il Governo, con la messa in discussione dei proventi di 6,55 miliardi dell’asta 5G (e di quelle future), e potenzialmente pericolosi per gli stessi operatori che hanno fatto ricorso (mettendo in discussione analoghe proroghe future e passate).
Dal Wimax all’Lte al Fixed Wireless Access
Le frequenze 3.4-3.6 erano state attribuite ad Aria (ora parte di Tiscali) Linkem, Go Internet e Mandarin con un’asta nel 2008 per una tecnologia chiamata WiMax, che doveva portare internet nelle zone rurali e meno popolate del paese per coprire il digital divide in aree in cui i grandi operatori avevano poco interesse ad investire.
Il WiMax si è rivelato però poco efficace e molto presto superato da altre tecnologie, in particolare l’LTE. Da qui la scelta di Agcom, in continuità con il passato (proroghe, con procedimenti analoghi erano state date anche lo scorso anno per le bande 900 e 1800 a tutti i grandi operatori) di estendere le licenze dal 2023 al 2029, in modo da dare agli operatori WiMax – che nel frattempo avevano fatto investimenti importanti – una prospettiva concreta di completare la migrazione allo standard LTE e 5G. Una scelta nel senso della competizione, quella di Agcom, che allo stesso tempo garantisce agli utenti nelle zone del digital divide la presenza di un servizio di qualità, in attesa che arrivi la fibra di Open Fiber che, a distanza di 1 anno e mezzo dai bandi Infratel, non ha ancora attivato connessioni. Gli investimenti degli operatori del fixed wireless access in queste aree potrebbero inoltre rivelarsi uno stimolo importante anche per spingere i grandi gruppi ad accelerare a loro volta la posa della nuova rete 5G.
L’iter delle proroghe
Un percorso amministrativo, quello delle proroghe, che non è soggetto a decisioni politiche ma ad un iter consolidato, stabilito già dalla legge Bersani del 2007. Avviato con una consultazione pubblica di Agcom nel dicembre 2017, l’Autorità ha deciso di andare avanti nel percorso proprio alla luce della “necessità di garantire l’uso effettivo ed efficiente delle frequenze qui in oggetto e la promozione degli investimenti e della concorrenza effettiva” come scrive nella sua delibera conclusiva del procedimento lo scorso aprile, dopo la quale il Mise ha dato il suo nullaosta.
Insomma, la proroga non è certo stata il blitz descritto da alcuni operatori, ma lo stesso tipo di procedimento trasparente sperimentato nel passato dall’Autorità. Del resto, la decisione di incrementare la competizione in fasi di forte discontinuità tecnologica stimolando l’ingresso nel mercato di nuovi operatori non è una novità per il regolatore: la stessa Iliad ha avuto da Agcom nell’ambito dell’asta per lo spettro 5G una riserva per una porzione dello spettro in banda 700 Mhz grazie alla quale si è aggiudicata uno dei lotti al prezzo di riserva. E nel 2010 H3G, che all’epoca era appunto il nuovo entrante, aveva avuto due blocchi di spettro 1800 a titolo gratuito per competere ad armi pari con i grandi operatori consolidati.