L’ultimo episodio di Black Mirror porta in primo piano l’interattività che ha premiato la diffusione e il successo della tecnologia, programmata dall’uomo e fatta agire per soddisfare il bisogno primario dell’essere umano che è quello di entrare in contatto ed in relazione con l’altro. Lo sa bene chi ascolta le risposte di Siri che con la sua voce gentile, armonica e mai arrabbiata ci rasserena, ci dà l’illusione di essere in sintonia con noi e di soddisfare, o almeno tentare di farlo, le nostre richieste, anche quelle più assurde, che a mo’ di sfottò molti ancora attuano.
Ci si emoziona nel web, ci si arrabbia, ci si deride, ci si compiace, ci si gratifica, ci si suggestiona, si ha paura, dietro alla ricerca spasmodica di visualizzazioni, follower, like, commenti, hate speech ma spesso il vissuto emozionale non viene preso in considerazione né tantomeno riconosciuto.
La ricerca internazionale nell’ambito della Developmental Psychology ci pone infatti in primo piano l’evidenza scientifica di un’anedonia emotiva e un’alessitimia delle nuove generazioni che hanno difficoltà ad esprimere le emozioni, a riconoscerle, a verbalizzarle. Senza ombra di dubbio la scorciatoia semplificata di emoticòn, emoj appare funzionale e riparativa all’incapacità di rappresentarsi e narrare stati d’animo che non si comprendono ma che tuttavia si definiscono e trasmettono in forme iconiche semplificate.
Semplificazione che è alla base dei molti misunderstanding che rimbalzano tra le varie bacheche dei social, alla ricerca di traduzioni esatte che nella via di trasmissione da chi invia a chi riceve molto spesso hanno bisogno di traduttori interpretativi di amici ai quali si chiede di interpretare il perché di quella faccina alla fine del messaggio. Perché conclude con ? Cosa significa il a fine conversazione?
Se da una parte il fare operativo di tanti adolescenti, da spessore ai risultati di ricerca (Volpi, 2014), la cornice teorica della moderna psicologia dello sviluppo, sostanziata dall’integrazione tra dati di ricerca e dati clinici, ci obbliga a fare un passo indietro e ritrovare dietro a quell’adolescente un bambino al quale non sono stati dati strumenti operativi per leggere le emozioni, interpretarle, riconoscerle e raccontarle. Oggi più che mai infatti possiamo considerare, alla luce dei validi contributi della Teoria dell’Attaccamento, dell’Infant Research, delle Neuroscienze affettive, degli evidence-based dei trattamenti clinici in età evolutiva, che la psicopatologia dello sviluppo (Tambelli, 2017) può avvalersi di numerosi e ben validati riscontri scientifici che possono sostenerla nella difficile comprensione e gestione degli “anni magici” della prima infanzia (Fraiberg, 1959).
Se non riconosciamo le nostre emozioni, non siamo in grado di individuarne nell’altro e sappiamo che leggere stati d’animo propri è altrui è uno delle competenze che il bambino deve acquisire nel suo percorso di sviluppo e che la mancanza di empatia è per l’appunto alla base di tanti disturbi in età evolutiva già nella primissima infanzia. La recente pubblicazione del sistema diagnostico DC:0-5 dello Zero to Three, mette trasversalmente in evidenza la mancanza della lettura emozionale come tassello disfunzionale da riparare in un percorso terapeutico di ristrutturazione di una base sicura genitore-i/bambino incrinata.
Come apprende il bambino ad interpretare le sue emozioni e quelle dell’altro, suggellando i tal modo lo specchio empatico che riflette un’immagine salutare di sé stesso e degli altri in un percorso di fiducia e sicurezza?
È il genitore il primo specchio dove il bambino impara a riconoscersi, ad individuarsi a leggersi, a comprendersi e a comprendere (Volpi, 2017), e in questo processo bidirezionale di comunicazione e di connessione si apprende a trasmettere emozioni, stati d’animo e sentimenti che poi potranno avvalersi anche di emoj ma non avranno bisogno di tante interpretazioni se non la ricerca del face to face in caso di incomprensioni.
Solo così si si potrà difendere da chi profila le nostre emozioni e da chi vuole controllarle senza la possibilità di controllarle davvero. Buona protezione!
Bibliografia
Fraiberg, S. (1959), The magic years: Understanding and handling the problems of early childhood, New York, Scribner’s; trad. it. Gli anni magici. Come affrontare i problemi dell’infanzia da zero a sei anni, Roma, Armando, 2010.
Tambelli R., (2017), Psicopatologia dell’infanzia, Il Mulino, Bologna.
Volpi B., (2014), Gli adolescenti e la rete, Carocci Editore.
Volpi B., (2017), Genitori Digitali, Il Mulino, Bologna.
Zero to Three (2016), Diagnostic classification of mental health and developmental disorders of infancy and early childhood: DC:0-5TM, Washington, D.C., Zero to Three Press.