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Bambinidigitali. Dipendenza da internet, perché il rischio lo corrono anche le famiglie

Fatto di cronaca: un’intera famiglia alle prese con la dipendenza da Internet. Presto, perché così siamo abituati a fare, nel cercare un’etichetta, casella, denominazione che definisce ed allontana in una sorta di incasellamento “altro” difensivamente proiettivo, verrà coniata un nuovo termine trend per dare dei confini alle Famiglie completamente assorte dalla tecnologia, che tagliano fuori il resto del mondo e vivono nel completo ritiro sociale. Termine trend che rimbalzerà nei social e nel diventare oggetto di miriadi di interpretazioni, commenti, post, testimonianza diretta delle nuove modalità comunicative che l’uomo ha prodotto nella sua attivazione, fruizione, condivisione tecnologica, genererà a sua volta interpretazioni differenti che probabilmente allontaneranno l’analisi e la comprensione di un contenuto psicodinamico celato da una forma, da un segno e dalla traccia che lascerà in modo indelebile all’interno del villaggio globale mediatico.

Prima che ciò accada, forse dovremo fermarci un attimo, e utilizzare queste testimonianze di disagio, che ci coinvolgono tutti in termini di responsabilità ed attenzione sociale, per comprendere meglio come ci si è arrivati, ed agire in termini preventivi per evitare il completo assorbimento nel mezzo tecnologico che ingloba all’interno dei circuiti mediatici una sofferenza, una vulnerabilità, una fragilità che non si riesce ad esprimere nelle relazioni in situ e che fa dello spazio digitale un terreno di coinvolgimento affettivo disfunzionale.

Cosa c’è dietro una famiglia che si isola completamente dal resto del mondo e agisce soltanto in un mondo altro, dentro lo schermo, che riporta in un gioco di specchi e di rimbalzi, il mondo altro che c’è fuori?

Un “rifugio della mente” per utilizzare la bellissima metafora di Steiner (1996), che non è solo del singolo, forse dal singolo è partito ma che si è espanso collettivamente in un nucleo familiare che si è inglobato nel dentro digitale, in una sorta di bolla avatar difensiva, che protegge ed isola in modo disfunzionale denunciando una difficoltà emozionale ed affettiva che non è stata colta e che si è incistata dentro la tecnologia.

Questo ci dice la ricerca scientifica sulle forme di Addiction, dietro ogni forma di abuso c’è una sofferenza affettiva, del singolo, della famiglia, e l’utilizzo dell’oggetto di dipendenza in termini relazionali non è altro che il sostituto di altro che non c’è, che si desidera ma che non si ha, che si cancella e si taglia fuori dal sé in termini ossessivi e compulsivi. Una sorta quindi di auto-terapia dell’Io, per dirla con Khantzian (1997) che diventa in questo caso collettiva. Il gruppo, sappiamo che rispecchia, amplifica, ma deforma anche e occorre tenerlo in considerazione sempre quando si frequenta l’immensità delle connessioni nella rete digitale.

Una famiglia disconnessa (Volpi, 2017) quindi che utilizza la tecnologia in modo improprio, per una gratificazione sensoriale che copre, va sopra, ed altera le capacità relazionali, e in una sorta di dissociazione collettiva che esaspera e cortocircuita i legami familiari che fanno da ancoraggio alle perturbazioni esterne.  Auto-terapia dell’Io che può diventare, come in questo caso, Globale-terapia disfunzionale del Noi, che cancella il Noi e riporta ad un Io-Sé danneggiato.

Non sappiamo cosa è successo, come ci si è arrivati, né ci dobbiamo spingere ad interpretazioni che faranno i tecnici e chi si prenderà cura di questo nucleo familiare in cui la tecnologia è stata utilizzata per coprire altro, non causa ma effetto di una compromissione di legami, di inversione di ruoli, di confusione, che come società orientata al benessere delle nuove generazioni dobbiamo avere il coraggio di osservare, ascoltare, e cercare di comprendere e non solamente etichettare come qualcosa al di fuori di noi e che non fa parte di noi. Ogni disagio prima di divenire imperiosamente tale lancia dei segnali di allarme, dei gridi di disperazione che dobbiamo riuscire a cogliere e ai quali dobbiamo rispondere per evitare di sentirci inermi di fronte a situazioni estreme che si fa fatica a circoscrivere.

Etichettare serve a poco, bisogna comprendere ed agire in termini preventivi ricordando che l’educazione digitale (Volpi, 2017), intesa nella presentazione dei nuovi strumenti tecnologici, nell’accompagnamento, nel monitoraggio e nella supervisione, inizia da subito nella primissima infanzia e non può essere bypassata dando il cellulare in mano ai bambini a 10 anni senza aver seguito una traiettoria di crescita che tenga conto delle sue competenze evolutive e dei suoi tempi di acquisizione. Compito e dovere sociale, dei genitori, della scuola e della società tesa a prevenire piuttosto che curare. Vecchio, ma sempre attuale monito!

Bibliografia

Khantzian E.J. (1997), The self medication hypothesis of substance use disorders: a reconsideration and recent applications, Harvard Review Psychiatry, 4 (5), 213-244.

Volpi B., (2017), Genitori Digitali, Il Mulino.

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