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Autonomie differenziate: lontane dal concetto di progresso, sono un passo indietro sulla via della civiltà

Paolo Maddalena

L’oscuramento delle menti provocato dal pensiero neoliberista, secondo il quale, come affermato da Milton Friedman, nel suo famoso libro “la storia della moneta americana dal 1867 al 1960”, “l’essenza dell’ordine del mercato non sta nello scambio, ma nella concorrenza”, produce ora i suoi nefasti effetti anche a livello istituzionale con l’approvazione, avvenuta ieri da parte del Consiglio dei Ministri, del disegno di legge Calderoli sulle autonomie differenziate.

In sostanza il principio errato della concorrenza, che già di per sé è inattuabile nell’ambito del mercato globale, viene esteso ai rapporti tra le regioni nell’errato convincimento che la ricchezza di poche regioni farebbe da traino alla ricchezza delle altre.

È falso, come già affermò Z.Bauman, poiché la concorrenza mira al perseguimento di interessi individuali e non può portare a un benessere di tutti. È sufficiente pensare che la ricetta redatta da Milton Friedman (in base alla quale Pino Che distrusse il Cile e la Thatcher e Reagan recarono rispettivamente enormi danni all’Inghilterra e agli Stati Uniti, cambiando poi subito la loro politica) si fonda su tre punti: deregulation, cioè abolizione di qualsiasi regola, privatizzazione e riduzione delle spese sociali, specie per quanto riguarda la sanità e l’istruzione.

Questo pensiero non tiene conto che il passaggio dall’uomo branco a l’uomo civile ha coinciso con il passaggio dall’egoismo individualista alla cooperazione solidale, la quale per poter esistere ha bisogno innanzitutto di regole. Ed è evidente che se ogni regione è autorizzata a darsi regole proprie, viene privato di tutela l’interesse generale dell’intero Popolo italiano.

In sostanza le autonomie differenziate spaccano l’Italia in venti piccoli staterelli (prima dell’unità d’Italia ce ne erano 7), ognuno dei quali è autorizzato a perseguire i suoi propri interessi, anche se contrastanti con quelli degli altri. Ed è inutile invocare che l’assegnazione di più materie a singole regioni sarà fatta in base ai principi di sussidiarietà e differenziazione.

Tali principi sono sanciti dall’articolo 118 della Costituzione proprio per fare in modo che la competenza in materia di attività amministrativa, in via di principio assegnata ai comuni, possa passare a enti sovra ordinati fino ad arrivare allo Stato, qualora detta attività abbia ad oggetto la tutela di interessi che travalicano quelli puramente locali e riguardano via via sfere più ampie della popolazione. 

È ovvio che il richiamo a questi principi, a proposito delle autonomie differenziate, anziché procedere in via ascendente, comprendente interessi sempre più generali, percorre la via inversa, una via discendente che esclude man man gli interessi generali per attuare quelli particolari di singole regioni.

Una precisazione questa che di per sé esclude la stessa validità costituzionale dell’articolo 116 del medesimo titolo V, secondo il quale ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite alle regioni su iniziativa delle stesse.

Inoltre l’incostituzionalità di questo articolo deriva dal fatto che esso è in pieno contrasto con l’idea stessa di Stato-Comunità di cui all’articolo 1 della Costituzione, che vede nella tutela dell’interesse di tutto il Popolo la prima condizione da osservare ai fini della vita della Comunità medesima, nonché con il principio fondamentale dell’eguaglianza economica e sociale sancito dall’articolo 3 Cost..

E si tenga presente che il più chiaro contrasto delle autonomie differenziate con la Costituzione si rivela nella violazione dell’articolo 5 Cost., secondo il quale la Repubblica è una e indivisibile.

Appare davvero strano che si attribuisca falsamente un valore di progresso a un vero e proprio errore contenuto nel titolo V della Costituzione. Arrivando a distruggere quel grande avanzamento sulla via della civiltà che si era costituito con la sanguinosa e gloriosa lotta per l’indipendenza e l’unità d’Italia. Si spera che gli italiani si rendano conto che il governo, come ha dimostrato con i suoi primi provvedimenti e in particolare con l’approvazione della riforma Calderoli, sta agendo contro l’interesse di tutti i cittadini italiani e specialmente contro gli interessi del Sud Italia.

Addirittura favorendo la speculazione economica e finanziaria dei potentati economici, liberandoli dall’ostacolo di svolgere la loro attività economica privata a fini sociali, come espressamente prevede il terzo comma, dell’articolo 41, della Costituzione.

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