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Automotive, il Piano Draghi per la crescita europea: cooperare per competere

Il Rapporto Draghi per rilanciare l’Unione Europea nei prossimi 5-7 anni va nella direzione di un rafforzamento dell’integrazione e dell’unità (chiaramente oltre l’unanimità con un voto a maggioranza) con una appropriata politica industriale  anche per rispondere alla dilagante politica di insicurezza globale connettendo politiche economiche, sociali e di difesa nella sostenibilità.

Come? Conquistando maggiori livelli di autonomia strategica in un quadro multilaterale e utilizzando il “debito comune” (eurobond) ma triplicando il troppo limitato budget attuale fino ad un nuovo Piano Marshall da 800 mil.di di euro/anno per rilanciare crescita e produttività con un aumento degli investimenti del 5% del PIL e poter competere con i giganti a Est (Cina e India) e a Ovest (USA) nell’accoppiamento di decarbonizzazione e digitalizzazione a partire dalle correzioni sul piano per l’auto.

Così come peraltro nel confronto di potere tra BigTech e SuperState che cambia la stessa democrazia con colossi che hanno miliardi di utenti per l’accesso alle informazioni e lo scambio di merci contro cui i singoli Stati sono spesso impotenti e dunque necessitiamo di Super-Regole per dirimere controversie e imporre sanzioni (per es. antitrust) con Costituzioni, Corti di Giustizia e Diritti Federali (come in USA e UE). Uno dei passaggi strategici del Rapporto Draghi sulla competitività europea riguarda proprio l’auto e gli errori commessi nel passaggio all’elettrico per “uscire” dai motori endotermici entro il 2035. Segnalando come il settore automotive è l’esempio sia della mancanza di una pianificazione europea in questo campo strategico da parte dell’Unione e della applicazione di una politica climatica che non tiene conto di una politica industriale.

Cinque i punti chiave da considerare: A – riduzione del gap innovativo e rinforzo strategico delle competenze utili e necessarie; B – integrazione tra  politiche di decarbonizzazione e crescita competitiva; C – aumento della sicurezza  e riduzione della dipendenza strategica; D – sostegno  del piano di investimenti con appropriati strumenti di finanziamento; E – potenziamento dei meccanismi di governance. Punto nodale del rapporto connesso al rilancio dell’automotive riguarda l’incoerenza tra la traiettoria di decarbonizzazione e gli strumenti legislativi e il pacchetto di obiettivi per la filiera dell’auto e che attiene al faro strategico della neutralità tecnologica (NT) verso l’obiettivo al 2035 di eliminazione dei motori endotermici per sostituirli con quelli elettrici, dove tuttavia è mancata la spinta per trasformare in sincrono la complessa catena di fornitura che è un articolato e complesso eco-sistema.

Per esempio, la Commissione ha costruito una Alleanza Europea per le Batterie Elettriche ma si è fatto troppo poco per diffondere l’infrastruttura delle ricariche senza le quali il mercato non potrà allargarsi. Così come si è fatto poco su modelli meno costosi e popolari e su nuovi modelli di business per giovani che non acquistano l’auto da inserire in nuovi piani di mobilità integrata pubblica-privata (urbana-extra/urbana).

Mentre la Cina si è mossa in anticipo e avviando già nel 2012 una politica di preparazione dell’intera catena di fornitura elettrica su larga scala in quasi tutti i settori di riferimento e a partire dalla materia prima delle terre rare.

Abbattendo in questo modo i costi di sistema della transizione all’elettrico con adeguati incentivi eco-sistemici, innovazione, estensione delle economie di scala e controllo sulla fornitura di materie prime strategiche (terre rare).

Disegno che sembra del tutto mancante nel pur prezioso grande Piano del Green New Deal. Quindi serve rilanciare il Piano Auto nel breve termine evitando delocalizzazioni radicali della manifattura e la rapida acquisizione di aziende da parte di produttori esteri a questo scopo sovvenzionati dai loro Stati e in questo senso una equilibrata politica di dazi (realistici e sostenibili) potrebbe “livellare il campo di gioco” e dare robustezza eco-sistemica ad efficienza e competitività accrescendo i livelli di produttività e spingendo l’innovazione condivisa.

Mentre nel lungo termine, si tratta di dare coerenza  ad un Piano Industriale Continentale che metta a valore la doppia triangolazione di convergenza orizzontale tra elettrificazione, digitalizzazione e circolarità da accoppiare alla convergenza verticale di piano per le materie prime critiche (piano per terre rare già avviato e rete delle rinnovabili), produzione concentrata di batterie in uno o due siti europei (già in corso), integrazione  delle infrastrutture di trasporto e reti di ricarica nel complesso eco-sistema dell’automotive europeo.

Valorizzando in questa direzione la reticolarizzazione dei territori vocati al manifatturiero automotive integrandoli con territori multi-distrettuali di servizi (manifatturieri e di serviticing) trasversali dalla robotica all’automazione industriale al software applicato e alla sicurezza e ai nuovi materiali entro un quadro circolare e a basse emissioni.

Favorendo legami e alleanze (tecno-commerciali) tra campioni europei (da definire e rinforzare) e sistemi di PMI regionali e/o multi-distrettuali da qualificare con una manifattura avanzata, digitalizzata, sostenibile e reticolarizzata in chiave inter-regionale e inter-distrettuale.

La leva energetica per contenere i costi è da razionalizzare con un quadro normativo equilibrato, flessibile e coerente  con lo sviluppo infrastrutturale da una parte e dall’altra con reti di Ricerca e Sviluppo e centri di ricerca universitari (pubblici e privati) reputati per sviluppare lavoro e formazione qualificata e capaci di favorire ibridazione e contaminazione intersettoriale con traiettorie di interdisciplinarietà e trans-disciplinarietà in particolare con l’AI e gli impatti con la “guida autonoma” (e che coinvolge BigTech aprendolo all’innovazione di nuovi apporti tecnologici e di competenza) a sostegno di una nuova prosperità condivisa e sostenibile nel quadro del Modello Sociale Europeo che allarghi le basi competitive e occupazionali rinforzando scala e produttività (fisica e cognitiva).

Favorendo nuove alleanze strategiche tra i grandi player europei per esempio nella componentistica e segmento strategico di veicoli elettrici piccoli e accessibili sotto i 25mila euro, ma anche di veicoli urbani multifunzione (accessibili con piani di affitto breve e lungo) da attivare entro un quadro di multi-modalità e nuovi modelli di business. Perché va tenuto conto anche dei cambiamenti ai quali è sottoposto il grande mondo dell’automotive dal punto di vista dei consumi e del rapporto con l’auto da parte delle Gen Z  e Y o dei Millennials abituati a muoversi con mezzi molteplici, pubblici e privati su brevi e lunghe distanze e che sembrano distanti dall’obiettivo di acquisto dell’auto come priorità  e che spiega in parte la caduta dei mercati dell’auto degli ultimi 20 anni e certamente quella degli ultimi anni post-Covid con salari ai giovani troppo bassi (certamente in Italia ma non solo e che ne spiega la massiccia migrazione in Europa).

Un Piano Industriale dell’Automotive dunque al servizio di una Europa più competitiva, resiliente, sostenibile, inclusiva e accessibile che possa equilibrare esigenze di sostenibilità ambientale e riconversione degli impatti occupazionali con un maggior grado di indipendenza strategica nella eco-manifattura digitale di cui Brescia e la Lombardia rappresentano un nodo strategico fondamentale e che va rinforzato nel quadro di una sostanziale neutralità tecnologica. E’ infatti chiaro che la manifattura europea non può fare a meno dell’automotive e dell’elettrico neppure, perché in quei cannocchiali e microscopi si può esplorare il futuro della sua competitività.

La neutralità tecnologica nel settore automobilistico si riferisce a un approccio in cui le istituzioni pubbliche non favoriscono una tecnologia specifica, ma stabiliscono obiettivi generali e lasciano che il mercato determini le soluzioni migliori per raggiungerli. Questo approccio ha diversi impatti significativi:

1. Innovazione e Competizione: La neutralità tecnologica stimola la concorrenza tra diverse tecnologie, come motori a idrogeno, celle a combustibile, biocarburanti e combustibili sintetici. Questo può portare a un’innovazione più rapida e a una diversificazione delle soluzioni tecnologiche disponibili.

2. Riduzione dei Rischi: poiché i risultati dei processi di innovazione sono spesso incerti, la neutralità tecnologica può svolgere una funzione di assicurazione contro l’imprevisto. Tecnologie che oggi sembrano promettenti potrebbero rivelarsi meno efficaci o più costose in futuro, mentre altre attualmente sottovalutate potrebbero svilupparsi più rapidamente del previsto. Quindi far avanzare la nuvola di eco-sistemi tecnologici può consentire di scegliere più efficientemente la convergenza migliore nel medio-lungo termine.

3. Impatto Economico: Adottare un approccio neutrale può aiutare a evitare la deindustrializzazione o comunque rallentarla per esplorare spazi di adattamento più efficaci (impatti occupazionali, scelte tecnologiche, formazione delle competenze più utili). Ad esempio, incentivare esclusivamente i veicoli elettrici potrebbe spingere la produzione automobilistica verso paesi extra-UE (Cina in primis) con processi produttivi più inquinanti e lungo una sola traiettoria che potrebbe rivelarsi antieconomica nel medio-lungo termine.

4. Sostenibilità Ambientale: La neutralità tecnologica permette di esplorare e sviluppare tecnologie che potrebbero essere più sostenibili a lungo termine. Questo è cruciale per raggiungere obiettivi di neutralità climatica entro il 2050, come stabilito dalle nuove normative europee.

5. Vantaggi per l’Industria: Per l’industria automobilistica, questo approccio consente di mantenere la leadership acquisita e di contenere i costi della transizione ecologica, evitando di concentrarsi su una sola tecnologia che potrebbe non essere la soluzione ottimale a lungo termine.

In sintesi, la neutralità tecnologica offre un quadro flessibile che può adattarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e di mercato oltre che sociali, promuovendo al contempo innovazione e sostenibilità. Tuttavia le diverse opzioni hanno costi ambientali differenziati che vanno attentamente valutati nella scala di impatti eco-sistemici globali. Sappiamo per esempio, che gli utenti potrebbero semplicemente voler minimizzare i costi di sostituzione di un’auto endotermica con una elettrica, oppure usarla con modelli di business differenziati dal tradizionale approccio proprietario.

I produttori potrebbero voler minimizzare i costi di innovazione degli impianti o efficientarli energeticamente visti i massicci investimenti effettuati e lo stato incassare più tasse e s/o spendere meno in salute. Ma la valutazione va fatta sulle emissioni e sui tempi per ridurle e da questo dipendono come noto una serie di costi ambientali, sulla salute oppure sulla mobilità che potrebbero essere inefficienti per l’ecosistema nel suo complesso.

Quindi dovremmo scegliere la/le soluzioni più ragionevolmente equilibrate da questo punto di vista e che vorremmo fossero le più sostenibili misurandole sul tasso di emissione e sulla velocità di riduzione di queste. Ecco perché dovremo rivalutare al meglio la scadenza al 2035 con le deroghe utili o possibili per la “convergenza” del sistema nel suo complesso con logiche coopetitive dove cooperare per competere divenga la soluzione win-win, dove tutti vincono e nessuno perde.

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