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Automazione, in Asia e nel Pacifico si perderanno 63 milioni di posti di lavoro entro il 2040

Il lato oscuro dell’automazione industriale

L’automazione industriale passa per la robotica e per soluzioni ad alto contenuto tecnologico in continuo sviluppo, che stanno ridisegnando il concetto stesso di industria, produzione e lavoro. Il problema è che proprio i lavoratori saranno le prime vittime di questa transizione se non si prendono da subito le dovute contromisure.

Secondo un nuovo studio di Forrester Research appena pubblicato, si stima che nell’intera Asia e nelle regioni del Pacifico andranno persi circa 63 milioni di posti di lavoro a seguito dell’automazione industriale entro il 2040.

Il dato è relativo alle cinque più grandi economie continentali: India, Cina, Corea del Sud, Australia e Giappone.

Investire in competenze e tutela dei lavoratori

Per prepararsi ai cambiamenti provocati dall’automazione, le cinque maggiori economie della regione Asia Pacficio dovranno ripensare radicalmente le proprie strategie per gestire la forza lavoro“, ha affermato Michael O’Grady, principale analista di previsione di Forrester.

Mentre ogni economia deve affrontare le proprie sfide, ci possono essere delle aree di interesse comuni, tra cui il modo più efficace per conservare posti di lavoro e su come compensare il calo verticale della popolazione attiva. Inoltre – ha spiegato O’grady – sarà della massima importanza investire nell’istruzione STEM, nella formazione della forza lavoro tecnologica e nella protezione dei diritti dei lavoratori freelance“.

Oltre alle materie Stem scolastiche, dall’acronimo inglese che sta per Science, technology, engineering and mathematics, con cui si indincano le discipline scientifico-tecnologiche e i relativi corsi di studio, sarà centrale nei prossimi anni aumentare l’accesso alla formazione professionale avanzata per l’acquisizione di competenze tecnologiche al passo con i tempi.

Considerazioni fondamentali peri i Governi di oggi e soprattutto di domani, perché la robotica mette a rischio complessivamente 247 milioni di lavoratori, soprattutto nei settori delle costruzioni e dell’agricoltura, dove maggiore (dopo il manifatturiero) potrebbe essere l’impiego delle macchine nei prossimi anni.

L’automazione crea nuova occupazione, ma non abbastanza

In tutti e cinque i Pesi sopra menzionati la decabonizzazione, la transizione economica, le fonti energetiche rinnovabili, i progetti smart city, le infrastrutture sostenibili e la green economy, comunque creeranno milioni di nuovi posti di lavori. I ricercatori se ne attendono quasi 29 milioni entro i prossimi tre decenni.

Eppure, nonostante questi nuovi ambiti professionali e anche la trasformazione digitale e l’informatizzazione diffusa della società, almeno 13,7 milioni di posti di lavoro andranno persi entro fine periodo.

Le stime su Australia, Giappone, Cina, Corea e India

L’Australia potrebbe arrivare a tagliare l’11% della sua forza lavoro a causa dell’automazione entro il 2040.

In Cina, invece, si dovrebbe assistere alla diminuzione della popolazione attiva dell’11% entro fine periodo, con il taglio del 7% dei posti di lavoro, e questo nonostante l’ICT e le nuove tecnologie creeranno almeno 3,8 milioni di nuovi occupati, compensando almeno in parte il fenomeno della disoccupazione tecnologica.

L’India potrebbe essere l’unico grande Paese asiatico a non vedere l’effetto negativo dell’automazione industriale, almeno fino al 2040 (anche se ne saranno minacciati direttamente ed indirettamente 70 milioni di occupati, secondo lo studio), perché per il Governo di Nuova Delhi l’obiettivo è creare sempre nuovi posti di lavoro, con una popolazione attiva che si stima raggiungerà 1,1 miliardi entro fine periodo.

L’invecchiamento generale della popolazione e in particolare di quella attiva, porterà alla perdita del 19% della forza lavoro entro il 2040 e di quasi il 33% entro la metà del secolo.

Nella Corea del Sud, a causa della forte ondata di automazione nell’agricoltura e nell’edilizia nei prossimi 20 anni, si attende un taglio netto del 20% dei posti di lavoro.

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