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Automazione 4.0 & robot economy, nel 2025 la metà del lavoro sarà svolto dalle macchine

Il mondo del lavoro sarà irriconoscibile entro pochi anni. Se oggi abbiamo già a che fare con nuovi strumenti tecnologici, nuove professioni e competenze sempre più avanzate, in meno di un decennio tutti noi potremmo trovarci a dividere postazioni e impianti con dei robot, con le macchine e gli algoritmi.

Secondo il Report “The Future of Jobs 2018” diffuso ieri dal World Economic Forum, nel 2025 le macchine copriranno il 52% delle ore lavoro giornaliere (contro il 29% attuale), mentre il restante 48% sarà destinato agli esseri umani (che ne coprono oggi il 71%).

Se l’automatizzazione ci farà perdere circa 75 milioni di posti di lavoro entro il 2022, l’industria 4.0, l’automazione stessa e la trasformazione digitale dell’economia nel suo complesso, ci faranno guadagnare altri 133 milioni di posti di lavoro.

In generale, quindi, si registreranno a livello mondiale 58 milioni di nuovi occupati grazie al digitale, all’ICT e all’industria 4.0.

C’è anche da considerare che se le macchine avranno modo di creare tanto lavoro, è anche vero che le aziende intervistate hanno dichiarato chiaramente che il contributo dell’automazione e degli algoritmi allo svolgimento delle normali funzioni lavorative potrebbe aumentare del 57%.

Ad esempio, il 62% delle attività di informazione, elaborazione dati e ricerca, potrebbe andare ai robot (attualmente stanno già al 46%).

Data analyst, data scientist, specialisti di intelligenza artificiale e machine learning, esperti big data e della digital transformation, specialisti della cybersecurity, software and application developer, professionisti delle vendite e del marketing digitali, sono solo alcuni esempi delle professioni che entro pochi anni saranno più richieste in azienda e negli impianti industriali.

Oltre i numeri, che sono utili solo ad interpretare i fenomeni ed i processi in atto nella fase iniziale della digital transformation globale, lo studio cerca anche di comprendere quelli che potranno essere gli effetti di tali cambiamenti sull’intero sistema economico, ma soprattutto l’impatto sociale che questi avranno sulla vita delle persone e delle famiglie, dei giovani e degli anziani.

Bisogna ragionare non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi.

Saranno tutti buoni posti di lavoro questi creati? Quanto saranno retribuiti? Quali saranno le condizioni lavorative? Che tipo di contratti avremo?

Se è vero che rispetto a oggi ci saranno molte più occasioni lavorative in futuro, è anche vero che si tratterà di professioni che richiederanno un alto livello di istruzione e soprattutto competenze ed abilità molto avanzate.

Ad esempio, secondo il Report, il 54% degli impiegati delle aziende di grandi dimensioni dovranno sacrificare gran parte della propria vita alla formazione continua, all’acquisizione di nuovi skills.

Lavorare fianco a fianco con le macchine potrebbe essere molto faticoso per noi: ai robot basta scaricare l’aggiornamento, agli esseri umani servono interi giorni di formazione, 101 l’anno per la precisione (è il tempo calcolato dal Report necessario agli uomini e le donne per sviluppare nuove competenze ed abilità).

Solo la metà delle aziende che hanno partecipato all’indagine del WEF (attive in 12 settori industriali di 20 diversi Paesi) ha dichiarato di voler provvedere alla formazione del proprio personale, in special modo degli impiegati che già vantano oggi skills elevati.

Meno di un terzo ha espresso la volontà di estendere la formazione avanzata a tutti gli impiegati.

Ovviamente non tutti potranno o vorranno accedere alla “formazione continua” che ci attende e per loro non ci sono studi che suggeriscono un’altra strada da percorrere.

Si parla ovunque di redditi universali, di cittadinanza o con altre denominazioni, ma quali Paesi e quali no potranno permettersi tali misure di sostegno alla popolazione rimasta esclusa dal progresso e lo sviluppo della robot economy e della trasformazione digitale?

Ciò significa che ci saranno lavoratori umani di serie A, B e forse C, con stipendi che varieranno di molto e che determineranno probabilmente rilevanti effetti in termini di disuguaglianza economica, sociale e culturale (senza considerare le nuove forme di povertà relativa ed assoluta).

Entro il 2022, complessivamente, i partecipanti alla survey hanno stimato una possibile perdita di 984 mila posti di lavoro a fronte però di 1,74 milioni di nuovi occupati.

Tra i settori economici e industriali più coinvolti da questa trasformazione, secondo lo studio, troviamo: aviazione, finanza, turismo e viaggi, industrie manifatturiere, metallurgiche ed estrattive, automotive, trasporti, sanità, salute e benessere, editoria, information & communication technologies, chimica, materiali avanzati e biotecnologie.

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