Prosegue il dibattito sul tema dell’audience televisiva nel nuovo scenario digitale, della sua frammentazione e della evoluzione inevitabile dei sistemi di rilevazione, avviato con l’articolo del Prof. Stefano Mannoni ‘Causeries. Nuove tecnologie e frammentazione dell’audience’ e con quello di Roberta Gisotti, Caporedattore di Radio Vaticana e Docente di Economia dei media, ‘La favola dell’Auditel riproposta in formato digitale’.
Le ricerche sul consumo dei Media sono indispensabili per tutti i soggetti che operano nei diversi comparti. Tutti competono nella conquista del tempo di bambini, donne e uomini. E’ il tempo la merce che si compra e si vende nel marcato dei media, vecchi, nuovi, nuovissimi o futuri. La cattura del tempo da parte dei media avviene attraverso l’offerta di Informazione, Intrattenimento vario, sport inclusi, Servizi.
Il motivo per cui si dedica del tempo ad un Media piuttosto che ad un altro e la ripartizione del tempo da parte di ciascuno, il proprio Time Budget e Planning sono scelte individuali e variano anche quotidianamente a seconda delle esigenze piuttosto che delle curiosità, che spesso sono gli stessi Media a creare.
Il tempo delle persone e dati quantitativi, di questo si occupano le ricerche che misurano i consumi dei media. Che sia per piacere, per caso o per necessità che ci si trovi a dedicare tempo al consumo mediale non è motivo di approfondimento per queste ricerche. Non lo è neppure la dicotomia “mi piace” – tornato in gran lustro con Facebook – “non mi piace”; sono altre le ricerche che dovranno approfondire queste variabili ed anche, si spera, la qualità.
Le ricerche sul consumo mediale si limitano a fornire indicazioni quantitative, ed è giusto che sia così, appesantire infatti un panel con troppe richieste renderebbe ancor meno veritiere le indagini. Le varie Audi (Auditel, Audipress, Audiposter, Audiweb, Audimovie, etc.) sono simulazioni accettate per convenzione dai protagonisti dei mercati mediali. Lo abbiamo scritto più volte, anche nel nostro ultimo “Dall’oligopolio alla coda lunga” (Franco Angeli. 2012) dedicato ai mutamenti occorsi nel mercato televisivo. La convenzione è accettata perché le caratteristiche delle ricerche, e soprattutto, e più delle altre, proprio quella Auditel, sono frutto di studi statistici di alto livello, certo, rimane una simulazione però, perché poco più di cinquemilacinquecento famiglie ne rappresentano una ventina di milioni. Le Audi sono progettate e realizzate per le esigenze del mercato pubblicitario e se non funzionassero, le imprese che investono in pubblicità avrebbero smesso da tempo di utilizzarle e queste indagini nemmeno esisterebbero.
La criticità di Auditel è stata frutto dell’atteggiamento conservatore che il CdA di questa srl ha tenuto per troppo tempo, nel disperato tentativo di mantenere centrali le reti generaliste e tardare il più possibile una fornitura puntuale dei dati della Pay Tv e dei canali nativi digitali. Auditel è stata sanzionata per questo e per aver incluso nel totale Tv anche cittadine e cittadini che il televisore non lo possedevano.
E’ stato lo stimolo di Sky Italia, a volte minaccioso, a volte diplomatico, infine con i fatti, a smuovere il CdA di Auditel e spingerlo all’innovazione.
A dire il vero Sky ha costretto tutti gli editori ad innovare, con l’alta definizione diffusa, con il suo MySky, con l’on-demand, con le richieste di inserimento nel panel di chi italiano non è ma qui vive e consuma, con la richiesta di misurazione del Vosdal (Viewing on same day as live) e in differita sino ad una settimana.
Ha obbligato Auditel a darle ascolto e adesso entra in Consiglio con Discovery, l’altro editore di successo.
Il CdA di Auditel si è convinto anche perché ha preso atto che la Tv è rimasta centrale nel consumo mediale e centrali sono rimaste le sei reti generaliste incumbent.
Adesso Auditel lavora per triplicare il proprio panel, altro “stimolo” creato ad arte da Sky con il proprio Smart Panel che misura i consumi televisivi dei soli abbonati alla piattaforma. Diplomaticamente Sky custodisce con cura i dati dello Smart panel per non creare disordine, ed entra nel CdA.
La televisione è rimasta centrale perché i primi abbandonanti il medium sono tornati a sedercisi davanti, armati di Smartphone o Tablets, perché si sono a loro volta accorti che scrivere e commentare quel che nessuno conosceva e viveva era noioso e dava poca soddisfazione. Gli early adopter dei Social Media hanno insomma finito con il sancire la centralità della televisione, finendo con l’esaltarne il ruolo grazie ai loro commenti sul Festival di Sanremo, piuttosto che X-Factor, Amici, L’isola e persino Quelli che il Calcio, tutti in un certo momento entrati a far parte dei Twiter Trend Topic. E la Nielsen ha creato il servizio Nielsen Twitter Tv Ratings, censendo i milioni di post dedicati alla programmazione televisiva.
Ma a Houston hanno un problema, come monitorare i consumi mediali delle diverse piattaforme digitali e dei tanti device. E hanno anche un altro problema, il Data Fusion. Ovvero combinare le varie ricerche sui diversi Media e sul consumo dei diversi Media sui vari device.
Per il primo problema la soluzione è l’audio matching, ovunque si veda un programma tv, si ascolta un audio e l’audio di tutto l’emesso è già oggi registrato e memorizzato per una settimana. Basterebbe avere il permesso delle persone di lasciarsi registrare tutto ciò che ascoltano da Pc, Smartphone, Tablets e varie ed eventuali. Più facile a dirsi che da ottenere. E’ già difficile siglare accordi con i detentori dei diritti dei sistemi operativi iOS e Android; tutto è in divenire, ma sta divenendo.
Un altro bel problema è costituito dal Data Fusion. Per realizzarlo occorre che le simulazioni operate da tutte le indagini siano il più precise possibile e completamente armonizzabili tra loro. Non è così, oltre a tutte le Audi, anche l’ultima nata Audiweb presenta criticità. Occorrerebbe che l’Autorità preposta a vigilare, si occupasse di tutti i sistemi di rilevazione, o organizzasse una Digital Media Agenda. Visto che l’Agenda digitale, inopportunamente ignara delle humanities, si occupa di poche e burocratiche faccende. Quasi non sapesse che in assenza di una cultura digitale ed un’economia innovante non vi saranno apparati aperti all’innovazione.
L’Agcom potrebbe anche considerare che ciascun editore conosce i propri dati sino all’ultimo ip, ma non quelli degli altri.
Occorrerebbe un soggetto terzo che abbia la fiducia di tutti e che si fidi dei dati che riceverà da ciascuno. Ma non avviene, non è tempo. Ciascuno vende i propri pubblici e inserisce i dati nelle piattaforme Programmatic per la vendita diretta o in RTB (Real Time Bidding). E’ tempo di Big Data e i Big Data sono in carico ai Big, Google, Facebook, Amazon e pochi altri, poi c’è il resto del mondo. Ci sarebbero anche le politiche sovranazionali, nazionali e le Autorità.
L’Agcom, sovraccaricata dal legislatore di obblighi, oltre ad essere chiamata a vigilare sulle indagini sui consumi dei Media, è chiamata a monitorare il mercato mediale esteso del Sic (Sistema integrato delle Comunicazioni) e incontra non poche difficoltà. Il Sic, un’altra criticità del sistema old fashion che varrebbe la pena ridefinire.
Di nostro non abbiamo che il tempo, nel quale vive chi non ha neppure dimora (Balthasar Gracian).