Più della metà degli americani guarda film e programmi tv in streaming. E’ quanto emerge da un recente studio di Deloitte.
Netflix mantiene il primato, con più di 40 milioni di abbonati, ma non è l’unico.
Oltreoceano va forte anche il servizio di video online di Amazon o Hulu.
I broadcaster hanno capito che si è aperta nuova via e la prima a imboccarla è stata proprio la regina delle serie tv HBO, che fa capo a Time Warner, che ha cominciato a offrire ai propri spettatori un servizio online a pagamento.
L’asse del mercato audiovisivo si sta sempre più spostando sui provider di contenuti. Non a caso il magnate di Sky, Rupert Murdoch, da anni fa la corte a Time Warner sperando di poter mettere in pancia le produzioni targate HBO che fanno gola a tutti i fornitori di servizi in streaming.
Programmi real time anche su internet
E nelle offerte online cominciano adesso a fare capolino anche i programmi in diretta, finora grandi assenti sulle piattaforme online.
Li stanno già proponendo Sony sulla Playstation, Dish Network e presto potrebbe aggiungersi anche Apple.
Ovviamente dietro ci sono grandi accordi con i broadcaster come Espn del gruppo Disney o la CNN, sempre di Time Warner. L’offerta è certo più limitata ma costa anche di meno e permette di scegliere un piccolo numero di canali rispetto ai grandi bouquet offerti via cavo o satellite per i quali gli americani pagano abbonamenti elevati.
Il segreto? Mettere in piedi una buona offerta, spiega Jim Nail, analista di Forrester.
Gli occhi però restano puntati su Apple che presto alzerà il velo sulla propria tv in streaming.
“Innoveranno e rivoluzioneranno la tv come hanno fatto in altri settori“, si domanda Nail.
Netflix toglie tempo alla tv
Al momento la pay tv negli USA si mantiene stabile. Ha, infatti, perso solo lo 0,2% dei propri abbonati negli ultimi due anni, secondo uno studio di Leichtman Research Group che sottolinea che a cambiare e piuttosto il modo di vedere la tv.
Bruce Leichtman, presidente della società di ricerca, ha osservato che “Il tempo passato a guardare Netflix o altri servizi (online) si sottrae alla tv”.
In altre parole gli americani restano comunque fedeli al piccolo schermo e non ci rinunciano. Almeno per il momento.
Alla lunga questa tendenza peserà però sull’audience dei canali tradizionali e quindi sui ricavi pubblicitari.
Per Deloitte, “Il concetto del consumatore in salotto che guarda programmi televisivi a orari stabiliti, specie tra le giovani generazioni, è ormai superato”.
Oggi abbiamo “un pubblico di spettatori che usa molteplici dispositivi all’interno e all’esterno della casa per guardare i contenuti che ha scelto”.
Trionfa l’on-demand
Solo il 45% delle volte i programmi televisivi vengono guardati in diretta all’ora in cui sono stati piazzati nei palinsesti.
Il resto del tempo viene speso su servizi on-demand in streaming o programmi registrati.
Questo tasso diminuisce ulteriormente con l’abbassarsi dell’età dello spettatore.
Un Report di Forrester rileva che il 38% dei giovani tra i 18 e i 32 anni non guarda la tv tradizionale.
Alcuni player hanno cominciato ad adattarsi alla nuova tendenza. Verizon, per esempio, sta per lanciare un abbonamento personalizzabile che permetterà di scegliere gruppi di canali in funzione dei propri interessi, con tariffe adattate.
Anche se questo trend non trova d’accordo tutti i broadcaster.
Servizi streaming: si risparmia davvero?
Secondo Dan Rayburn, analista di Frost & Sullivann, “I servizi streaming offrono maggiori opzioni ai consumatori“, ma non grandi risparmi perché ci sono da pagare i diritti di distribuzione dei contenuti che i provider fanno inevitabilmente ricadere sui prezzi praticati ai consumatori.
Questo sarà ancora più doloroso per i nuovi servizi che hanno meno clienti sui quali ripartire i costi.
Certo, questo non impedirà alla Tv on-demand di diventare il nuovo standard, limitando la visione in diretta solo ai grandi eventi come il Super Bowl.
“Nei prossimi dieci o venti anni la maggior parte dei programmi saranno guardati in differita o comunque on-demand”, prevede Jim Nail.
“I consumatori – conclude l’analista – non vogliono più essere sottoposti alla tirannia dei programmi televisivi”.