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AT&T torna alle origini: cede WarnerMedia per concentrarsi su fibra e 5G

Fine dei sogni di gloria hollywoodiana per AT&T, e ritorno all’ovile delle Tlc, vale a dire alla fibra e al 5G. Questa la parabola dell’avventura nel mondo dei media dell’operatore americano AT&T, che ha deciso di scorporare la sua divisione WarnerMedia per combinarla con Discovery. Un’operazione da 43 miliardi di dollari, con cui di fatto AT&T, per bocca del suo Ceo John Stankey, si munisce di “una maggior flessibilità per investire in fibra e 5G per sostenere la domanda crescente a lungo termine di connettività ultraveloce”.

In altre parole, una illuminazione sulla via di Damasco per AT&T che dopo un’incursione di tre anni poco fruttuosa nel mondo dei media, e dopo aver perso miliardi di dollari in un business che non le appartiene, ha deciso di gettare la spugna e tornare a occuparsi di quello che sa fare, vale a dire occuparsi di reti di telecomunicazioni fisse e mobili.

L’obiettivo di Stankey diventa così quello di raddoppiare la sua presenza nella fibra per raggiungere 30 milioni di clienti entro il 2025, mentre nel mobile l’obiettivo è spingere il rollout della banda C per raggiungere 200 milioni di persone entro il 2023, il doppio rispetto a target prcedenti.

Per raggiungere questi obiettivi, AT&T investirà 24 miliardi di dollari all’anno dopo la chiusura dell’affare WarnerMedia, prevista entro la metà del 2022.

C’è da dire che una mossa analoga, vale a dire l’uscita dal business dei media, è stata da poco fatta anche da Verizon, che due settimane fa ha ceduto la sua divisione media ad Apollo Global Management per 5 miliardi di dollari.

Il matrimonio fra distribuzione e contenuti non ha mai dato i frutti sperati.

Un ritorno alle origini

Un ritorno alle origini che, secondo l’analista di Global Data Tammy Parker, interpellato dal Wall Street Journal, consente ad AT&T di tornare alle origini. L’incursione nel mondo dei media è stata una “distrazione” costosa, che per di più “ha limitato la capacità di AT&T di investire nel core business delle telecomunicazioni nel momento in cui è necessario realizzare le nuove reti 5G e i servizi in fibra per restare competitivi”.

In altri termini, la morale per le telco Usa secondo l’analista americana è che concentrarsi sul core business delle tlc porta a prosperare, lasciando nel contempo ai partner puri specializzati in media la gestione dei contenuti.

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Un’avventura da 80 miliardi di dollari

Si ricorda che tre anni fa AT&T difendeva al Dipartimento di Giustizia l’acquisizione di Time Warner, costata la bellezza di 80 miliardi di dollari. Ma vinta la battaglia legale, la sconfitta è arrivata sul mercato tanto che oggi il Ceo John Stakey ha detto addio ai sogni di gloria da un matrimonio fra contenuti e distribuzione che non è mai decollato. Lo spin off dell’impero dei media comprende nomi del calibro di HBO, CNN, TNT, TBS e Warner Bros. studio, che si fonderanno con Discovery.

La vendita segnala in definitiva un sostanziale fallimento degli sforzi di AT&T nel campo dei media e un’inversione di marcia rispetto ai recenti piani. Il sogno di competere con i big dello streaming come Netflix, Amazon e Google è così svanito.

Un’operazione che ricalca, con le dovute proporzioni, quanto sta tentando di fare nel Regno Unito BT, che sta cercando in tutti i modi di uscire dal mondo del calcio. Insomma, il trend nelle Tlc sembra quello di concentrarsi sulla realizzazione delle nuove reti.

Completamente opposta invece la strategia di TIM, che in controtendenza con quanto sta accadendo a livello internazionale, si è buttata nel business del calcio in partnership con DAZN con un investimento di 340 milioni di euro per i diritti della Serie A nel prossimo triennio. Nel panorama globale TIM pare l’unico operatore Tlc che pensa di guadagnare con il calcio nel mondo dei media.

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